"Il Compagno segreto" - Lunario letterario.Numero 13, settembre 2007 


n. 13 °*° W. Shakespeare : Fantasmi di Amleto  °*° n. 13

57.  Artes moriendi

 


«La vostra morte è sobria; in Danimarca usiamo macchine assai più sgangherate e chiassose.»

(G. Manganelli, Un amore impossibile, in Agli dèi ulteriori, Torino 1972)

 

I morti,

Che discrezione!

Dormono

Davvero al fresco.

(J. Laforgue, Amleto, ovvero Le conseguenze della pietà filiale)

 

«Per essi è finita l’angoscia di non poter più risorgere»

(Eschilo, Agamennone, vv. 568-9)

 

 

 

Che la morte possa pur sempre giungere come un ladro nella notte perfino nel tempo degli stents coronarici e della chemio democratica, a noi scandalizza. Una volta era l’agguato a cui doversi far trovare sempre pronti; ora invece anche la Signora stenta, si dà a spizzichi minuti, lenti esasperantemente. E le agonie son diventate ergastoli di tortura. «La morte, da tempo preannunciata, promessa da compaesani autorevoli, garantita da benevoli capi divisione, tarda a venire, la vita rischia di diventare cronica…» (G. Manganelli, Hyperipotesi, in  Tragedie da leggere, Torino 2005). Occorrerà difendersi.

 

Come si vede, però, l’attenzione di tutti, come in ogni altra cosa del resto, si è spostata dal fatto alla procedura: non la morte, ma le diagnosi, le dosi dei farmaci, la correttezza delle opzioni chirurgiche… tutti esperti sul come. - «Sì, ma morire, è andare non sappiamo dove» (Misura per misura, Atto III, sc. 1): su questo invece nessuno che abbia la zucca sul collo ha più niente da dire: come se morire fosse l’ordine di un capoufficio – né è escluso che questa natura impiegatizia della Morte, la sua pigra serialità da catasto, non ne riveli una vocazione autentica e meschina alla miopia e alla grigia routine: una sua verità  più vera, per esempio, dei fasti barocchi degli scheletri in gramaglie svolazzanti tra i turbini pestiferi…

 

 

«Sì, ma morire, e andar non sappiamo dove; giacere in un freddo irrigidimento e imputridire; che questo caldo e sensibile morto debba divenire argilla trattabile, e il dilettoso spirito bagnarsi in infocati flutti, o dimorare nella mordente regione del ghiaccio a folte croste; essere imprigionato nei venti invisibili, e soffiato con violenza senza posa intorno al pendulo universo; o star peggio del peggiore di coloro che pensieri sfrenati e malcerti immaginano urlanti:  troppo orribile! A più penosa e detestabile vita terrena che l’età, la doglia, la penuria e la prigione possano infliggere alla natura è un paradiso a petto di quel che noi temiamo dalla morte.» (Misura per misura, Atto III, sc. 1).

 

In Amleto, si sa, muoiono quasi tutti, nessuno - tra l’altro - facendo «una fine propriamente cristiana» (G. Manganelli, High tea, in  Tragedie da leggere, Torino 2005). Non solo: una delle scene supreme è nel cimitero dove saranno sepolti vicini Ofelia («fangosa morte», Atto IV, sc. 7) e Polonio («funerale oscuro» Atto IV, sc. 5). Non stupisce nessuno che la scena del cimitero sia comica: «Appena si entra in un cimitero un senso di derisione radicale bandisce ogni preoccupazione metafisica» (E. M. Cioran, L’inconveniente di essere nati).

 

«D’accordo, sì… Ma non essere più, non esserci più, non farne più parte!» (J. Laforgue, Amleto, ovvero Le conseguenze della pietà filiale). Già, del resto, non potendo dire niente sul senso della cosa, aiuterà la consapevolezza che, date determinate ineludibili circostanze, morire sarà almeno opportuno? Questo tanto più se si pensa che «chiunque non muore al momento giusto muore due volte» (E. M. Cioran, Quaderni. 1957-1972, Milano 2001).

 

Uno degli Amleti di Manganelli, aiutato dal fatto di essere, come gli si confà, postumo, non ha difficoltà a riconoscere il punto: «…il fatto è che io non potevo più vivere… era diventato filosoficamente impossibile, capite?» (G. Manganelli, High tea, in  Tragedie da leggere, Torino 2005). Facciamola semplice quanto merita: «è ora di morire quando c’è più male che bene nella vita» (M. de Montaigne, Saggi, vol. I, Milano 1986).


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