«AMLETO - …io
vado in giro con i significati, come un cane inseguito dal pentolino
che gli hanno legato alla gola.»
(G. Manganelli,
High tea, in Tragedie da leggere, Torino 2005)
«Recentemente, alla Biennale di
Venezia, ho goduto della mia prima esperienza di autore teatrale, sia
pure con documenti falsi: infatti avevo saccheggiato e manipolato un
certo numero di fogli sparsi e insanguinati di William Shakespeare.
Ma non di questo, ovviamente, intendo parlare. L’astuta patacca è
stata variamente recensita, ma con notevole frequenza sono apparse due
considerazioni: che il testo era difficile, dato che il pubblico era
di incolti metallurgici, disavvezzi a quella sorta di linguaggio; e
che pertanto il pubblico non avrebbe capito nulla o quasi.
Naturalmente, non sta a me discutere se il linguaggio di Manganelli
sia o meno difficile; ma posso discutere con moderata incompetenza
sulla difficoltà del mio prestanome William Shakespeare. Ora,
Shakespeare è estremamente complesso e difficile, anche sul
piano linguistico; i suoi testi brulicano di metafore, di giochi
verbali, di invenzioni linguistiche di ogni sorta: e tuttavia
Shakespeare fu uno scrittore estremamente popolare, di successo, e
cercavano persino di rubargli i testi per non pagare i diritti. Ora,
se il difficile Shakespeare era popolare ai suoi tempi, bisogna
pensare che gli spettatori, i plebei elisabettiani fossero tutti geni;
e se noi il linguaggio difficile non lo capiamo più, se non con un
certo allineamento, vorrà dire che siamo diventati boscheri. Io penso
che le cose non stiano a questo modo: ho l’impressione che quel
linguaggio sia diventato da difficile incomprensibile, è perché è
cambiato il nostro atteggiamento verso il linguaggio verso l’uso che
se ne può fare. (…) Un mondo psicologico ricco esige un linguaggio
ricco, ed un linguaggio povero comporta la frustrazione, l’avvilita
elemosina di un mondo squallido. Vorrei essere chiaro: nel nostro
mondo esiste l’assoluto contrario teatrale di Shakespeare: è
Eduardo. Eduardo può ‘andar bene’ per i metallurgici: ama i
poveri ed è di sinistra; ma il suo linguaggio teatrale è probabilmente
il più perfettamente reazionario che esista nell’intera Europa.»
(G. Manganelli, Quella volta
che mi tuffai tra le masse, “L’Espresso” 8 dicembre 1974, ora in
Cerimonie e artifici, Salerno 2000)
(A proposito del suo Othello
al Petrolchimico di Porto Marghera, recensito, per esempio, sul
Corriere della Sera così: «Un Othello
sofisticato alla Petrolchimica, cioè nell’Inferno di Porto Marghera, è
un atto di leggerezza politica da non ripetere, che accentua il muro
di diffidenza tra intellettuali e classe operaia» (L. Zorzi, La
Biennale, “Il Corriere della Sera”, 12 dicembre 1974, cit., come
il brano di G. M., in: L. Scarlini, Dialogo notturno: un
palcoscenico per Giorgio Manganelli, intr. a G. Manganelli,
Tragedie da leggere, Torino 2005)
«…Shakespeare è un autore
barocco; è curioso che Shakespeare è un autore estremamente
popolare, ma se lo si legge nel testo autentico o in una traduzione
che ne rispetti realmente la struttura, è uno scrittore estremamente,
scatenatamente barocco. (…) Mentre il vocabolario di 3.000 parole con
cui noi viviamo la nostra vita quotidiana è per l’appunto quel tipo di
vocabolario che ci consente di non avere esperienze, di mitridatizzare
tutte le esperienze in modo che siano tutte comprensibili e
tollerabili, mentre le esperienze esterne che vanno dall’amore, alla
morte, o tutti gli interrogativi che noi ci proponiamo, sono
esperienze che lacerano anche la nostra coerenza e, diciamo, la nostra
‘pace linguistica’ e che introducono nel nostro linguaggio estremo
disordine ed una ricchezza metaforica. Noi scopriamo che le cose
assomigliano ad altre quando siamo nel centro dei legami delle cose,
altrimenti passiamo semplicemente da una cosa all’altra, percorriamo
il reticolo, la periferia degli oggetti, che è quella che mi pare sia
la maledizione del nostro linguaggio quotidiano.»
(G. Manganelli, Dibattito
pubblico, in AA. VV. Fabbrica, quartiere, teatro: Otello a
Marghera, Venezia 1975)