«Ed è
una pena che l'universo sia più semplice
di quanto
supponga qualcuno più scaltrito,
che il bosco sia
così depresso,
e che per ogni
cosa arrivi la fine.»
(B. PASTERNAK,
Estate di San Martino,
trad. di M.
Socrate, in Il dottor Zivago, Milano 2002)
L’eredità che il papà di Amleto
lascia al figlio è la morte.
Oppure dobbiamo pensare di non aver
mai visto, né prima né dopo di lui, lo Spirito di un Morto così
imbecillemente miope, così imperdonabilmente cieco del destino che ha
preparato al figlio.
Il figlio maledice per cinque atti
questo e quello, la storia e il tempo, l’essere e il niente, la
gramigna umana e la terra stessa che da sé non lo scerpa.
Dal crimine dello zio e dalla
pretesa paterna, Amleto deduce un pandemonio ma “il mondo” da
rimettere in sesto è hybris del ragazzo megalomane. Prima del delitto,
i tempi forse erano “in sesto” solo perché a far macelli e massacri
era il legittimo papà del soprascritto? Certo che no, e Amleto lo sa.
Tempo edenico non c’è mai stato nemmeno per la scimmia di Darwin.
Almeno in questo Claudio fratricida incestuoso ha ragione: anche il
nostro babbo aveva un babbo che aveva un babbo… una catena di crimini,
un intreccio di faide. – La giustizia (come nel frammento celebre di
Anassimandro) è un’ingiustizia che liquidò una precedente
ingiustizia che liquidò una precedente ingiustizia: «feroce forza che
nomasi diritto», dirà Adelchi: l’Amleto cattolico del
geniale Manzoni. E’ la storia, bellezza.
Così, proprio l’OGM Adelchi, meglio
del suo prototipo barocco, sa che non c’è che da «fare il torto o
patirlo»; o, per cantarla più chiaramente nel caso funestissimo di
figli di uomini regali, non c’è che da scegliere se fare torto al
babbo o al mondo… Codesti babbi pare infatti non altra missione avere
che ossessivamente rimettere sotto il naso dei figli amari calici,
e cioè i figli stessi in vano olocausto. - E certo non sarà che un
simbolico caso che il veleno per Amleto il patrigno Claudio glielo
appresti in un calice.
Quasi un’evangelica pochade. E qui,
se il resto è silenzio, che sia un silenzio assenzio.