«Non è
debolezza, per esempio, anche la disposizione al volo, che infatti è
un oscillare, un incerto muoversi, uno svolazzare? Mio figlio rivela
qualcosa del genere. Il padre non si rallegra certo di tali qualità;
il loro intento è palesemente la distruzione della famiglia. A volte
lui mi guarda come se volesse dirmi: “Ti porterò con me, padre.” E
allora io penso: “Tu saresti l’ultimo a cui mi affiderei.” E il suo
sguardo sembra replicare: “Ch’io possa almeno essere l’ultimo.”
(F. Kafka,
Undici figli)
«Amleto, sono il
trivello di tuo padre!»
(J. Joyce,
Ulisse)
«…per liberarmi
dall’imperfetta giustizia paterna.»
(W. H. Auden,
Il mare e lo specchio)
«Crede che ci
siano molti padri oggi disposti a morire?»
(G. Manganelli,
Il funerale del padre, in Tragedie da leggere, Torino
2005)
Meno male che ogni tanto appare uno
Spettro a tirarci i piedi nella culla: «occorre quasi sempre una
violenta decisione per strappare la coscienza alle sue occupazioni
momentanee e forse urgenti e dirigerla sui problemi più generali
dell’orientamento. Non facendolo, non acquistiamo coscienza del nostro
atteggiamento e perciò non abbiamo una visione del mondo, ma soltanto
un atteggiamento inconscio» (C. G. Jung, Psicologia analitica e
concezione del mondo, 1928/31).
Però, subito l’atroce risveglio da
una vita sonnambula, sia pur con franta gratitudine, lo Spettro
andrebbe accompagnato alla porta degli inferi e lasciato scivolare
giù. Prendiamo Jung alla lettera: qualcosa di Amleto impedisce ad
Amleto di dire a suo padre NO. – Però non può neppure schiacciarsi in
un SI’ da kamikaze e farsi esplodere pieno di tritolo al centro della
reggia di Elsinore. Amleto non può ridursi a un Laerte o a un
Fortebraccio. Per certe cose ci si deve nascere. Vorrebbe tanto, ma
non è una slavata copia, la citazione, l’“attor giovane” che
replica suo padre giovane. - Se lo junghiano “principio di
individuazione” – modo specifico per dire cuore antico dell’ethos
umano! – nel giovane e affettuoso Amleto fosse andato più avanti e con
più forza, Amleto avrebbe detto NO a suo padre. Tutti in fondo faremmo
il tifo per questo, se ne esistesse la possibilità. Mentre il giovane
è schiacciato in partenza dalla FORZA del padre. Vedi anche l’amletico
Adelchi, che, col vantaggio di un paio di secoli, ha quel po’
di chiarezza in più da - almeno da moribondo – vedere che, se la
storia e i padri e la politica e la guerra sono l’essere, è
nel non essere la grazia. Il non sarebbe la parola
chiave. La tragedia di Adelchi e di Amleto è di non essere diversi
abbastanza dal padre: di non essere abbastanza il loro non essere.
– Il che potrebbe spiegare perché ad esempio Sartre all’inizio
di Le parole si rallegri di essere nato orfano, libero
dal rischio di restare schiacciato dal corpo immenso del padre.
Bisogna sapersi difendere
soprattutto da chi ci ama. La mala parte del genitore morto esige la
permanenza del comando: vuole che dal suo cadavere dilaghi una
metastasi che contamini il figlio. Per questo nel vangelo leggi che
Gesù dice al giovane che chiede solo il tempo di seppellire il padre
«lascia che i morti seppelliscano i loro morti» perché «nessuno che ha
messo mano all’aratro e poi si volge indietro, è adatto per il regno
di Dio» (Vangelo di Luca, 9, 51-62; Matteo8, 22).
«Perdono! Perdono, nevvero babbo? In
fondo tu mi conosci…» (J. Laforgue, Amleto, ovvero Le
conseguenze della pietà filiale) e io ti amo. E certo non
perché senza di te non sarei niente, ma proprio per questo rimasuglio
di me che malgrado te mi resta, per le cicatrici rimaste sul mio
povero cuore devoto, per gli strappi con cui ho dovuto svincolarmi
dalla tua onesta cecità. Ben più della zampa del famelico lupo è
rimasta dalla tua parte della tagliola e mi duole che anche per te
queste mie amputazioni siano ferite, come se ci avesse legato – il che
però non è mai stato – una carne comune da fratelli siamesi. Fosse
stato così, ammetterai che non passava giorno che tu non ti nutrissi
un poco di me, che non t’ingrandissi tanto da ridurmi a bivaccare alla
tua ombra, riducendomi a un feto grinzoso con la faccia da vecchio e
braccia incapaci di tutto.
Ora leggo e acconsento:
«il Nome del Padre è essenziale
alla strutturazione del mondo simbolico: è grazie a lui che il bambino
esce dall’accoppiamento con l’onnipotenza materna», Seminari di
Jacques Lacan (1956-1959) raccolti e redatti da J. B. Pontalis,
Parma 1978). Ammetterai che non è andata così trionfalmente, che
la liberazione «dal piccolo circuito (materno) al grande circuito» non
si è risolta in un «passaggio» ad altro
(Ibid.):
un altro che capirai, avendomelo anche tu impedito, perché non saprei
con più chiarezza definire.
Acconsento quindi anche a questo:
«Amleto è sempre sincronizzato sull’ora dell’Altro»
(Jacques Lacan, Seminario VI,
Il desiderio e la sua interpretazione, 1958-59, Roma 1989).
E’ chiaro che, malgrado morti e ribellioni, quell’Altro sei tu.
Mi accorgo che questo spiega almeno un’altra cosa: perché i miei
momenti felici – le ore con gli attori, le sere sprecate tra le
taverne di Wittenberg, la scherma - mi abbiano liberato sempre dalla
sensazione del tempo. Nella felicità, non ero mai né qui né ora, ma
estatico, dimentico di me stesso, e cioè di te.
Sai
quell’inferno da quattro soldi che chiami la tua testa… E’ la dentro
che mi senti, no?... Nella tua idea… Là dove sentivi tuo padre… Non è
questo che m’hai detto?... Là dove s’è messo a dirti delle cose… Una
notte di giugno… Per non fermarsi per degli anni… Con delle pause…»
(S. Beckett,
Di’ Joe)
«Il Super-Io,
infatti, è un precipitato psicologico della figura paterna che porta
con sé le istanze normative del collettivo. Confrontarsi criticamente
con questa parte della personalità, significa imparare a rapportarsi
con il mondo esterno da un’angolazione personale e individuale.»
(M.
Carotenuto, L’ombra del dubbio. Amleto nostro contemporeneo,
Milano 2005)
«D’altronde –
continua – tutto è eredità. E se sapremo essere cinici e naturali
finiremo col vederci chiaro.»
(J. Laforgue,
Amleto, ovvero Le conseguenze della pietà filiale)
«Al padre,
alla cosa stessa, non arriviamo mai, il padre è sempre assente o in
viaggio, e dal viaggio ci manda le sue cartoline…»
(M. Ferraris,
Jackie Derrida. Ritratto a memoria, Torino 2006)
A – Le regalo
il funerale.
B – il
funerale?
A – Sì, il
funerale, tutto: i parenti, le autorità, i vescovi, i cavalli, le
bandiere, i veterani di mille battaglie, i fiori, gli ottoni, il
carro, la bara; soprattutto, le regalo mio padre.
(G.
Manganelli, Il funerale del padre, in Tragedie da leggere,
Torino 2005)