"Il Compagno segreto" - Lunario letterario.Numero 13, settembre 2007 


n. 13 °*° W. Shakespeare : Fantasmi di Amleto  °*° n. 13

43.  The essential lesson

Del pregare


 

«Non siamo nati per pregare, ma per comandare»

(Riccardo II, Atto I, sc. 1)

 

«My words fly up, my thoughts remain below:

Words without thoughts, never to heaven go»

(Atto III, sc. 2)

  

Chiede Claudio perdono a Dio di un deliltto tutt’ora in corso, del quale mai rinuncerebbe ai vantaggi. Fare il Re è la sua vocazione. Quindi? - «O what a lesson concerning the essential difference between wishing and willing, and the folly of all motive-mongering, while the individual self remains!», commenta il molto simpatetico Coleridge (S. T. Coleridge, Lectures on Shakespeare, London 1971). Essendo a differenza di Amleto molto umano, Claudio vorrebbe che il delitto diventasse diritto anche agli occhi di Dio. E’ però talmente disperatamente smaccata la pretesa, da rendere antipatica la pur desiderabile Apocatastasi. Pentirsi senza pegno, salendo appena i primo due scalini della confessione («contritio cordis, confessio oris»), ma schivando accuratamente il terzo («…et satisfactio operis», Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, III, 90; ma vedi anche il canto IX del Purgatorio di Dante) è il paradosso che mette sotto scacco un Re per il resto sicuro:  qui si apre un arco d’angoscia che da Shakespeare arriva dritto a Dostoevskij: che cosa può il pentimento «quando non ci si può pentire?» (Atto III, sc. 2).

 

 

Dilemma tragico proprio perché non può esser risolto con un predicozzo al Re Caino. E’ evidente che Claudio non può pentirsi, che non ha neppure lontanamente alla sua portata un kierkegaardiano salto nell’abisso del timore e tremore di una fede senza se e senza ma. Tragico perché non cristiano abbastanza, escluso dall’happy end di una mirabolante conversione manzoniana (quei disastri letterari che il Gran Lombardo, preferendo l’agiografia a una più onesta suspense, riserva a Napoleone e all’Innominato): «L’essenziale, per un cristiano, non può manifestarsi nella tragedia. (…) Un cristiano non può non fraintendere, ad esempio, un poeta come Shakespeare, che rappresenta ogni cosa, ci mostra tutte le possibilità della natura umana»  (K. Jaspers, Sul tragico, Milano 2000), prima fra tutte, forse, la cainità della specie incapace in tutta evidenza di conversioni.

 

Il che, svillaneggiati ed educati dalla prima poesia dei Fleurs du Mal, ci affraterna a Claudio come a una delle figure possibilissime dell’ipocrisia nostra: cosa può il pentimento quando non ci si può pentire? Claudio che tutto media, che tutto prova a sopire e troncare, azzarda la sua tela di ragno per restare almeno appeso a metà tra delitto e diritto, tra Dio e Io, tra scrupolo e vantaggio. Ha una coscienza ma anche una posizione, è quindi un piccolo-borghese: «E il re, infine, è proprio tanto nero?» (A. Strindberg, Amleto e Faust, Milano 1988).


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