«Chi acconsente
a sbavare e
sudare sotto il peso
della VITA…?»
(Atto III, sc.
2)
«non chiedetemi il perchè ho voluto postare
questa "citazione" di Amleto [di William Shakespeare]
ma quando l'ho letta.... bho!!!! era già postata xD!! hihihih
ESSERE O NON ESSERE - QUESTO E' IL PROBLEMA
mi piace molto perciò
beccatevela xD!!!!»
(da un blog)
Se «Lo stupore di essere
precede lo stupore di essere uomo» (E. M. Cioran, La
caduta nel tempo), la cosa turba le insonnie degli uomini
d’azione molto meno che gli altri. «Avere o non avere questo»,
piuttosto, «è il problema» (J. Joyce, Ulisse): «Quello
scolaretto modello, disse Stephen, avrebbe giudicato i pensamenti di
Amleto sulla vita futura della sua anima principesca un monologo
inverosimile, insignificante e antidrammatico, vacuo come quelli di
Platone» (Ibid.).
Anche senza neppure sospettare il
Mondo come Volontà e Rappresentazione, viene spontaneo
liquidare il cacadubbismo amletico intuendo con Cioran che «più
si è, meno si vuole», e qui per legittima difesa
fermandosi, vista la continuazione dell’aforisma: «più si è,
meno si vuole. Ci precipitano verso l’atto il nostro non
essere, la nostra fragilità e la nostra inadattabilità» (E. M.
Cioran, La caduta nel tempo). E qui siamo già in terra
d’infedeli, a raspare il fondo della fossa dei leoni, mentre «avere o
non avere» ci suona confortevole e familiare quanto basta.
«Siamo dei grandi intenditori di
noi stessi; d’altro canto non siamo nessuno» (E. M. Cioran,
La tentazione di esistere). Questo sfociare in nessuno
sembra però più che altro un’impennata di narcisismo. Perché, insomma,
magari potersi fregiare della purezza matematica e simmetrica
di uno zero. Pare che l’entropia, come Amleto, non ammetta la pace
risolutiva di un non-essere finalmente d.o.c., extravergine,
superpuro: «Il risveglio, momento penosissimo… L’uomo, già acquattato
nell’immonda, tiepida confusione dei sogni, come un senile tagliacalli
in fondo ad un cassetto, viene scagliato nel mondo, governato dai
federali della causa e dell’effetto… Si sveglia, e s’avvede di essere
sposato, padre, cattolico, morituro e sudato…» (G. Manganelli,
Hyperipotesi, in Tragedie da leggere, Torino 2005)
Tra Cioran e Manganelli, è chiaro,
c’è solo la pantomima d’un disaccordo inventato da noi, una
scaramuccia appena nominale. L’impiegatizio essere del Manga è
qualcosa che in effetti sarebbe tutt’altro che bestemmioso definire
nulla: purché si rinunci a ogni mistica o amletica iattanza. – E’
pretendendo di non-essere troppo, che ci si ritrova amleti: un
eccesso di libido non-vivendi che non può che sfogarsi, data la
micragnosa asfittica vita, in intrattabili escrescenze teoriche.
Insomma: teorizzare il non-essere è la scorciatoia isterica di
chi altro non sa fare che saltellare tra padella e brace – qui
potrebbe aver ragione il fastidiato Stephen Dedalus di Joyce.
Anche Amleto si affoga e strafoga
in un mare di «Parole parole parole» (Atto II, sc. 2), altro
che la perfezione dei soliloqui ammutolenti! «Il soliloquio, portato a
perfezione nell’Amleto, è parola nel silenzio, la parola del
silenzio» (F. Kermode, Il linguaggio di Shakespeare, Milano
2000). Kermode sa scrutare in Shakespeare una traccia che va
sempre più verso un linguaggio reticente: «deliberatamente in
direzione di una sorta di reticenza», «contigua al silenzio»… - Letto
così, è ovvio che il Bardo sia non solo tollerabile ma sublime:
sensazione però incomunicabile se non per risonanza tra diapason dalle
sensibilità siamesi (dunque, tanto per dire uno dei più refrattarî,
non Wittgenstein).
Si sa che si può leggere benissimo
Wittgenstein come un mistico rigoroso. Uno molto attento a non fare
storie, ma pratiche; e infatti davvero «il resto è
silenzio» nel Tractatus, mentre è tragedia lunghissima
nell’Amleto!
«Un conto è diffidare del presente
nelle speculazioni metafisiche: altra cosa è non esserci» (C. Bene,
Opere, Milano 2002)! - Amleto del primo atto pare aver
intuito questa praticabile area di assenza (vedi l’inizio mirabile, di
controllato sfuggente rancore: «Un po’ più che parente e meno che
padre…»; «Per quanto posso vi obbedirò…», Atto I, sc. 2). Ma
poi lo Spettro lo trascina nell’incubo delle esigenze estreme.
(Quanto a noi, spettatori,
vorremmo solo osservare. Nessuno può scagliare prime o seconde pietre.
Siamo tutti sempre sul punto di precipitare in disastri più grandi di
noi; e ci conserviamo buoni, è perché loro ci risparmiano).