LAERTE - Coscienza e grazia nel pozzo più
profondo!
(Atto IV, sc. 5)
«Perché inasprire l’angoscia
passando in rassegna le minuzie?
Ci inganna la memoria
e lo scambista deraglia dai binari.»
(B. PASTERNAK, Com’è soporifera la vita!,
in Mia sorella la vita, Milano 1996)
ROMEO - Toh, mi sono smarrito.
(Romeo e Giulietta, atto I, sc. 1)
Ogni azione un salto
nell’ignoranza: è un ottimismo ontologico così spontaneo che
dev’essere inscritto nel DNA della specie. Il perché è evidente: se
l’irresoluto animale non combina qualcosa, muore. Il vigile urbano
della ragione intanto alza mani e paletta, fischia perfino
infrazioni gravissime, ma sovrastato da un traffico di pazzi: «ci
vorrebbe una regola sicura. La ragione pretende di fornirla, ma si
lascia piegare per ogni verso. Quindi non c’è regola.» (B. Pascal,
Pensieri)
Meglio sbagliare che pensare
troppo? Dice Cesare di Cassio: «pensa troppo: tali uomini sono
pericolosi» (Giulio Cesare, Atto I, sc. 2): prima che
per lo Stato, però, per se stessi. «La malattia principale dell’uomo è
la curiosità inquieta delle cose che non può conoscere; e per lui è
minor male essere nell’errore che in quella curiosità inutile» (B.
Pascal, Pensieri). Curiosità inquieta sarà una curiosità
che non si contenta, disposta come Bertoldo ad impiccarsi solo
all’albero perfetto, qualcosa che non esiste: «La perfetta conoscenza
uccide l’azione: anzi, quando si riferisce al conoscere stesso, essa
uccide se stessa. (…) Ma la conoscenza perfetta è impossibile,
ed è perciò che risulta possibile l’azione» (F. Nietzsche,
Frammenti postumi. Vol. I: Autunno 1869-Aprile 1871, Milano
2004)
Essere o non essere
vuol dire allora Fare o non fare, e non nel senso di fare
questo o quello, ma dell’essere tenuti comunque a un fare:
qualcosa che si dà e provoca conseguenze anche nella più compiuta
delle in-azioni! «Il minimo atto mi pone il problema di tutti
gli atti; la vita si converte sempre in Vita per me; il che complica
fino all’asfissia l’esercizio del respiro». (E. M. Cioran,
Quaderni. 1957-1972, Milano 2001), e qui magari si
esagera essendo almeno esonerato il respiro da essere un esercizio.
«L’incoscienza è una patria; la
coscienza un esilio» (E. M. Cioran, L’inconveniente di essere
nati). Poniamo allora che esilio sia un buon nome per
dire la condizione umana iniziale. L’incoscienza perfetta che sa
raccontare il Tao sarà l’Eden perduto, la grazia che capita senza mia
farsi catturare in un metodo. – Una volta che ci si è usati «la
scortesia di essere «profondi» (E. M. Cioran, Quaderni.
1957-1972, Milano 2001), sarà un primo passo «vergognarsi dei
propri problemi» (C. Bene, Opere, Milano 2002), e poi
ignorare lo gnommero psicotico che non porta a niente.
Se Gesù dice del Bene che la
destra non ha da sapere cosa faccia la sinistra, sono gli assassini i
più presti a capire quanto sia pratico non pensarsi. A parte i
personaggi dell’Amleto, infatti, nessuno è chiaro come
uno dei sicari di Clarence:
Di coscienza non voglio più
sapere;
fa d’un un uomo un codardo.
Uno non può rubare,
ch’essa non sia là pronta ad
accusarti;
uno non può imprecare,
ch’essa non sia là pronta a
rimbeccarti;
uno non può giacersi
a letto con la moglie del
vicino,
ch’essa non sia lì pronta a
denunciarlo.
La coscienza è un compunto
spiritello
dal volto sempre rosso di
pudore,
che fa il ribelle nel petto
dell’uomo
creando all’uomo una massa di
ostacoli.
Una volta m’ha fatto addirittura
riportare una borsa piena d’oro
rinvenuta per caso. La coscienza
riduce alla mendicità chi
l’ospiti;
la caccian tutti da città e
villaggi
come una cosa piena di pericoli;
ed ognuno che voglia viver bene
cerca di farne a meno
e di contare solo su se stesso.
(Riccardo III, Atto I,
sc. 4)