"Il Compagno segreto" - Lunario letterario.Numero 12, settembre 2007 


n. 12 °*° W. Shakespeare : Fantasmi di Amleto  °*° n. 12

22. Mali minori

 


LAERTE - Coscienza e grazia nel pozzo più profondo!

(Atto IV, sc. 5)

 

«Perché inasprire l’angoscia

passando in rassegna le minuzie?

Ci inganna la memoria

e lo scambista deraglia dai binari.»

(B. PASTERNAK, Com’è soporifera la vita!,

in Mia sorella la vita, Milano 1996)

 

ROMEO - Toh, mi sono smarrito.

(Romeo e Giulietta, atto I, sc. 1)

 

Ogni azione un salto nell’ignoranza: è un ottimismo ontologico così spontaneo che dev’essere inscritto nel DNA della specie. Il perché è evidente: se l’irresoluto animale non combina qualcosa, muore. Il vigile urbano della ragione intanto alza mani e paletta, fischia perfino infrazioni gravissime, ma sovrastato da un traffico di pazzi: «ci vorrebbe una regola sicura. La ragione pretende di fornirla, ma si lascia piegare per ogni verso. Quindi non c’è regola.» (B. Pascal, Pensieri)

 

Meglio sbagliare che pensare troppo? Dice Cesare di Cassio: «pensa troppo: tali uomini sono pericolosi» (Giulio Cesare, Atto I, sc. 2): prima che per lo Stato, però, per se stessi. «La malattia principale dell’uomo è la curiosità inquieta delle cose che non può conoscere; e per lui è minor male essere nell’errore che in quella curiosità inutile» (B. Pascal, Pensieri). Curiosità inquieta sarà una curiosità che non si contenta, disposta come Bertoldo ad impiccarsi solo all’albero perfetto, qualcosa che non esiste: «La perfetta conoscenza uccide l’azione: anzi, quando si riferisce al conoscere stesso, essa uccide se stessa. (…) Ma la conoscenza perfetta è impossibile, ed è perciò che risulta possibile l’azione» (F. Nietzsche, Frammenti postumi. Vol. I: Autunno 1869-Aprile 1871, Milano 2004)

 

Essere o non essere vuol dire allora Fare o non fare, e non nel senso di fare questo o quello, ma dell’essere tenuti comunque a un fare: qualcosa che si dà e provoca conseguenze anche nella più compiuta delle in-azioni! «Il minimo atto mi pone il problema di tutti gli atti; la vita si converte sempre in Vita per me; il che complica fino all’asfissia l’esercizio del respiro». (E. M. Cioran, Quaderni. 1957-1972, Milano 2001), e qui magari si esagera essendo almeno esonerato il respiro da essere un esercizio.

 

«L’incoscienza è una patria; la coscienza un esilio» (E. M. Cioran, L’inconveniente di essere nati). Poniamo allora che esilio sia un buon nome per dire la condizione umana iniziale. L’incoscienza perfetta che sa raccontare il Tao sarà l’Eden perduto, la grazia che capita senza mia farsi catturare in un metodo. – Una volta che ci si è usati «la scortesia di essere «profondi» (E. M. Cioran, Quaderni. 1957-1972, Milano 2001), sarà un primo passo «vergognarsi dei propri problemi» (C. Bene, Opere, Milano 2002), e poi ignorare lo gnommero psicotico che non porta a niente.

 

Se Gesù dice del Bene che la destra non ha da sapere cosa faccia la sinistra, sono gli assassini i più presti a capire quanto sia pratico non pensarsi. A parte i personaggi dell’Amleto, infatti, nessuno è chiaro come uno dei sicari di Clarence:

  

Di coscienza non voglio più sapere;

fa d’un un uomo un codardo.

Uno non può rubare,

ch’essa non sia là pronta ad accusarti;

uno non può imprecare,

ch’essa non sia là pronta a rimbeccarti;

uno non può giacersi

a letto con la moglie del vicino,

ch’essa non sia lì pronta a denunciarlo.

La coscienza è un compunto spiritello

dal volto sempre rosso di pudore,

che fa il ribelle nel petto dell’uomo

creando all’uomo una massa di ostacoli.

Una volta m’ha fatto addirittura

riportare una borsa piena d’oro

rinvenuta per caso. La coscienza

riduce alla mendicità chi l’ospiti;

la caccian tutti da città e villaggi

come una cosa piena di pericoli;

ed ognuno che voglia viver bene

cerca di farne a meno

e di contare solo su se stesso.

(Riccardo III, Atto I, sc. 4)

 


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