"Il Compagno segreto" - Lunario letterario.Numero 12, settembre 2007 


n. 12 °*° W. Shakespeare : Fantasmi di Amleto  °*° n. 12

14.  Moderno

 


 

«E quello sperdimento è l’insegna stessa della modernità.»

(A.  SERPIERI, La tragedia dell’Essere, Intr. A W. Shakespeare, Amleto, Marsilio 1997)

 

«L’epoca moderna comincia con due isterici: Don Chisciotte e Lutero.»

(E. M. Cioran, La tentazione di esistere)

 

«…la cui tormentata introspezione e spassionata penetrazione intellettuale presagiscono lo spirito moderno.»

(De Santillana, von Dechend, Il mulino di Amleto)

 

«Non crediate a quello che vedete, perché io vi sto dicendo che non lo vedete.»

(G. W. BUSH, Conferenza stampa, marzo 2003)

 

  

Azzarderemo un riassunto di Hegel in otto parole: perché farsi una cultura se non per lusingarci? - E’ infatti, bibliografia alla mano, facile notare che ci lusinga vedere l’occidentale evoluzione, trailer di quella a cui sarebbe tenuta la specie tout-court, come il romanzo d’un homo vitruviano che impara a incivilirsi rannicchiandosi a palla nel Pensatore di Rodin: epoké in posa plastica, nudismo michelangiolesco per mise en âbime senza ritorno.

 

Su questa faccenda della Modernità, potessi leggere intere biblioteche shakespearologhe, troverai sempre tutti all’unisono: Amleto inaugura il Moderno! – Ma poi davvero? Perché è chiaro che, dando ad Amleto del moderno, faremmo l’ennesimo complimento di troppo a noi stessi. Essendo noi – è anagrafica evidenza - i moderni.

 

Moderno, per esempio, come: vertigine per la disumana paradossale complessità della vita fin’anche nelle minuzie; percezione extrafine dell’arbitrarietà di ogni gesto che si pretenda morale; sprofondamento già nei propri soliloquî in dialettiche abissali; senso dell’impossibilità del possibile; e quindi di quanto poco faccia il fare; e di quanto troppo faccia quel catastrofico poco!… – Detto ciò, essendo - nel caso specifico degli Amleti - gettati in codesto magma metafisico nello status delicato e arduo di giovani principini pletorici, si vede bene che non resterà, per estrinsecarsi alla meno peggio, che vaghi gesti di penna: farsi sonettisti per un amore subito concettoso, e fustigatori a chiacchiere del mondo dal piedistallo di molto libresche e acerbe solitudini. – Questo, però, all’inizio del Seicento e in un Inghilterra ancora molto innamorata di una certa Italia castiglion-machiavelliana, locus squisito e sanguinario che sai da quando non c’è più!...

E dunque: se questo è il quadro, davvero tanta squisitezza e “metodo” anche nelle nostre moderne nevrosi? Altro che «i miti dell’uomo moderno, deluso non più per l’abbandono e l’indifferenza d’un dio, ma per il proprio stesso grandioso fallimento» (G. Baldini, Manualetto shakespeariano, Torino 1967)

 

«Più tardi mi si accuserà d’aver fatto scuola… come sono solo! E quest’epoca…. Non c’entra neanche un po’»

(C. Bene, Sceneggiatura di Un Amleto di meno)

 

 

Pare infatti che il mondo resti in mani saldissimamente medievali, a ometti e omoni che «non si voltano» (E. Montale, Forse un mattino). E se, nell’Amleto, Amleto resta a lungo intoccabile perché troppo amato dal popolo (Atto IV, sc. 6), qui, nell’ombellico del Moderno, noi della pazza folla amiamo noi stessi e qualunque cosa capiti, purché mai ci pianti in asso nel mezzo d’un dilemma: ché “la stampa” non capirebbe.

 Così, a pensarci, si rafforza l’idea del moderno, come superstizione di un particolare tipo di “medioevo”, idea che trovi nel molto rigoroso e tutt’altro che filo-teen-agers Manzoni (Adelchi), il quale scrisse il suo Amleto sprofondandolo in un medioevo ancora più drastico, genocida e contemporaneo. Da lì, fa dire alla poco aristotelica tragedia che sempre sempre sempre sarà così: ogni tanto qualche sparuta anima-ginestra, a contemplare un deserto mefitico e immedicabile, che molto presto e molto ciecamente la fagociterà in un unico gnam! (senza neppure un Orazio per la futura foscoliana “memoria”).

Stessa diagnosi in Simone Weil lettrice dell’Iliade poema della forza (1939), o, in versione regressiva e adrenalinica, in Guerre Stellari di George Lucas (1971-2005), dove non il moderno ma il futuro è medioevo più super-armi spaziali.

 

Sempre negando ad Amleto il valore di emblema del Moderno, René Girard offre una versione perfettamente opposta a quella che qui hai appena letto: «Essendo ancora più sfasata di quella di Shakespeare, la nostra epoca non può non produrre i più sofisticati Poloni» (R. Girard, Shakespeare. Il teatro dell’invidia, Milano 2002). Interessantissimo.

 


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