«Nichilismo:
manca il fine; manca la risposta al «perché?»; che cosa significa
nichilismo? – che i valori spuremi si svalutano.»
(F. Nietzsche,
Gaia scienza)
«Alla fine
l’uomo osa una critica dei valori in generale; ne riconosce
l’origine; conosce abbastanza per non credere in nessun valore;
ecco il pathos, il nuovo brivido…»
(F. Nietzsche,
La volontà di potenza)
Che facile scivolarci, nella saggia
(o furba?) botola dell’onniscienza, visto che è da sempre proprio qui,
giusto sotto i piedi nostri saputelli! - Intendiamo il punto da cui
ogni cosa - ma proprio ognuna - si confessa irrisolta e irrisoria: e
con che nonchalance, per non dir sfacciataggine! Se non
vuoi sapere queste cose, scappa e mettiti studiare (“Va in
convento!”). Direbbero per esempio Maurice Blanchot
(La parola plurale ne L’infinito intrattenimento,
Einaudi 1977): bisogna almeno diventare professori per
dimenticarsi quanto irriverenti e rancorose siano le cose, queste
ipocrite.
Al contrario, nascere prìncipi,
infanti rosa destinati a meticolosi mestieri da farsa squisiti e
crudeli, predispone alla delicatezza nevrotica, al capriccio che
s’impunta anche per un solo pisello sotto colonne traiane di
materassi... Da qui, ognun lo vede, al primo «No» delle cose,
il rischio è ostinare sulla buccia del cuore la trivella del rancore:
fino a far schizzare tutt’intorno, come fossero frombole definitive,
parole, parole, parole…
Un odio del Mondo magari
provvisoriamente efficace: efficace se si è intelligenti - il che,
rispetto allo status appena araldico di principe, di feto di Re tenuto
ad abitare pance ampie come regge e veglie lunghe come ergastoli, è la
vera lue! - Nel cuore attento e adolescente di Amleto, il sentimento
sarà inappuntabile e inabitabile. Da quella lampada sotto il moggio
sbucherà un genio geniale ma non nella vita: solo sulla pagina, nella
rivalsa del blablablà. E questi, per indifferenza d’un Mondo atroce e
pagliaccio (e già separare le due cose sarebbe sollievo!), farà e
disferà tutto da sé, teatro carnefice di se stesso.
Intorno al prescelto, il girotondo
girerà sordo, e cioè sano.
Può essere persino che la prima
nota acre e sarcastica faccia via via scivolare da sé rivoli sempre
più da cimbali leggeri, fino a sfarfallii quasi nirvanici. Amleto
sfiora Falstaff perché sa ben stare al mondo, e conosce il valore
infinito del to play. Però c’è il caso, e il fantasma. E la
vita scade a destino perché non può più essere nostra.
Al vispo Amleto bastò il più comune
dei lutti e appena un po’ sospetto… il che ancora non ci commuove:
bastasse così poco, quiggiù, nella penisola del sì e del no, invece
che specializzarsi in retorica e videoquiz, sarebbe tutto un farnetico
di metafisici che fan buchi nelle loro torbide acquette mentali. Il
così poco mediterraneo Amleto… luttuoso, narciso e sofistico,
precipita in una Wonderland inestricabile, forse non del tutto dark,
per non perdere il suo frettolosissimo Biancoconiglio, il greve
fantasma del suo omonimo papà. La metastasi metafisica, il limbo
labirinto
“C’è del marcio in Danimarca!” :
frase da
Totò.