«Cortese per
consolarli, il bibliotecario quacchero, mormorò:
- E abbiamo,
nevvero, quelle impagabili pagine del Wilhelm Meister. Un
grande poeta che parla di un grande poeta fratello. Un’anima
esitante che prende le armi contro un mare di guai, dilaniata da un
conflitto di dubbi, come si vede nella vita reale. (…) Il bel
sognatore inefficiente che s’infrange contro la dura realtà. Si
avverte che i giudizi di Goethe sono così esatti. Esatti come
analisi generale.
Biscricciolante analisi, uscì a passo di corrente.»
(J. Joyce,
Ulisse)
«Shakespeare vi ha rovinato
completamente», scrisse il 10 luglio del 1772 J. G. Herder
a J. W. Goethe. Herder aveva appena letto la prima
redazione del Götz von Berlichingen, con 49 cambi di
scena tra cucina di un palazzo, una prigione, le sale del castello,
una landa, tende di zingari, la camera da letto di una principessa,
ecc. Altro che aristoteliche unità! E nessun passo indietro: pochi
anni dopo, e due dopo il Werther, con Wilhelm
Meister. Gli anni dell’apprendistato (1796) «per la prima
volta un’opera di Shakespeare (Amleto) viene trattata
come creazione assoluta» (M. Fazio, Il mito di Shakespeare e
il teatro romantico, Roma 1992).
Ne darà un’interpretazione che
farà storia, che influenzerà l’Eugenij Onegin di
Puskin, e poi
Cecov (Ivanov,
1887), Turgenev, e
tanti altri:
«Il tempo è
uscito dai cardini; guai a me che nacqui per rimettervelo!”
In queste
parole, a mio giudizio, è la chiave di tutto il comportamento di
Amleto, e mi sembra evidente che questo abbia voluto rappresentarci
Shakespeare: una grande azione imposta a un’anima che non ne è
all’altezza. Mi pare che tutta la tragedia sia stata scritta con
questo intento. Un germoglio di quercia viene piantato in un vaso
prezioso, destinato ad albergare nel suo grembo soltanto fiori
delicati; le radici si allargano, il vaso va in pezzi.
Un essere
bello, puro, nobile, altamente morale, ma senza quella virile
energia che fa l’eroe, soccombe sotto un peso che non può portare né
respingere; ogni dovere gli è sacro, ma questo è troppo gravoso. Si
pretende da lui l’impossibile: non quello che è impossibile in sé,
ma quello che è impossibile a lui.»
(W. Goethe,
Wilhelm Meister. Gli anni dell’apprendistato, Milano 2006)
«La celebre ammirazione di Goethe
per Shakespeare e per l’Amleto è insieme cruciale e
ambigua», implica «una forte torsione e una nuova appropriazione
ideologica» (G. Restivo,
Percorsi della critica su Amleto, in Tradurre/Interpretare
“Amleto”, Bologna 2002);
«Nell’interpretazione di
Goethe, Amleto diviene un Werther, che crolla sotto un compito
troppo gravoso» (C. Schmitt, Amleto o Ecuba).
Affascinante tutto il work in
progress – la «scrittura di scena»
(C. Bene)
che porta alla messinscena del
dramma:
«Il nostro amico stava per
cadere nella disperazione quando Serlo una volta, dopo un lungo
litigio, gli consigliò semplicemente di risolversi presto a prendere
la penna, a togliere dalla tragedia quello che non andava né poteva
andare, a riunire più personaggi in uno; e se non si sentiva
abbastanza esperto o non aveva cuore di farlo, lasciasse quel lavoro
a lui, che lo avrebbe sbrigato prestissimo.»
Il personaggio di Serlo
era ispirato al capocomico Schröder, tra i primi e più attivi
a rappresentare Shakespeare in Germania. Già qui, dunque, l’idea del
capolavoro di Shakespeare come di un tesoro tenuto in una forma
comunque barbara che esige emendamenti drastici («L’unica condizione
che le pongo è di non lasciarsi scandalizzare dalla forma»), idea
che Goethe conserverà sempre: «Shakespeare ci porge mele d'oro in
scodelle d'argento. Studiando le sue opere, noi otteniamo le
scodelle d'argento, ma dentro ci mettiamo delle patate» (J. P.
Eckermann,
Conversazioni con Goethe, 25 dicembre 1825).
Goethe sviluppò sempre più
un’idea di teatro molto diversa dalla nuda messinscena elisabettiana
che tutto affidava al linguaggio. Tanto più se si vuol piacere alla
folla «soprattutto fate che abbondi l’azione!» e «non risparmiate
oggigiorno né scene, né macchine; fate apparire il sole e la luna;
seminate a piene mani le stelle, usate a volontà acque, fuochi e
rocce, bestie feroci e uccelli da preda. Ammassate sulle anguste
tavole del palcoscenico tutte le meraviglie della creazione e
percorrete a rapido volo d’uccello i cieli, la terra e l’inferno!»
(J. W. Goethe, Primo Faust, Prologo) - Un idea da
kolossal che, come tutti sanno, al tempo del cinema inglobò come
nessuno proprio Shakespeare, e fu il suo prezzo, alla corte di
Hollywood, per diventare lo sceneggiatore più saccheggiato della
storia.