"Il Compagno segreto" - Lunario letterario. Numero 12, settembre 2007                                         


 

n. 12 °*° William Shakespeare: Spettro delle mie brame - fantasmi di Amleto  °*° n. 12

 


 

 

42. Benedetto Croce

 

 

 

 


(Sul saggio del 1919 contenuto in Ariosto, Shakespeare e Corneille)

 

«Croce definiva Shakespeare il poeta cosmico di un mondo di contrasti insoluti, di una realtà misteriosa e terribile permeata, per la sua stessa imperfezione e mancanza di autonomia, dal bisogno di una dimensione superiore, di un Dio ignoto di cui tutti parlano strumentalizzandolo ciascuno ai propri fini. C’era in quei drammi il rimando a un mondo di realiora che potrebbero essere terribiliora, un nuomeno di cui tutti i fenomeni portavano in sé l’attesa trepidante e voluttuosa.

Questo di Croce è uno sforzo stupendo di caratterizzare il «sentimento» di Shakespeare. non il suo «pensiero», perché quella vita mostrata in sé sul palcoscenico non si risolveva in concetti chiari e distinti, ma in amari interrogativi senza risposta. La filosofia, la morale, il «dover essere», non sono il campo del teatro. Shakespeare, conclude Croce, può dirsi casomai un «pre-filosofo».

Ora son passai quasi cent’anni da quel saggio di Croce, e la saggezza del poi ce lo fa considerare con ammirazione ma con un certo distacco. Se limite c’è, come in tutte le cose umane, è nel suo essere un «medaglione» che isola Shakespeare dal suo contesto e dalla lunga durata culturale (Braudel), proprio quella a cui invece s’appunta il telescopio rovesciato del qui presente comparatista, che vede più corte le epoche lunghe, e mette a fuoco gli elementi meno visibili a occhio nudo della lunga durata. Il saggio di Croce suona come uno sforzo mirabile di strappare Shakespeare all’ottimismo panlogista di Hegel, per farne un proprio pre-filosofo, un artista antesignano del pensiero di Croce. Il lupo perde il pelo ma non il vizio. Sotto sotto Croce ha tirato l’acqua al suo mulino, non diversamente da come han fatto e sfatto, col libero poetar pensoso dei Greci, con la sapienza irregolare di quei grandi, tutti i filosofi regolari, da Aristotele a Emanuele Severino.»

(N. D’Agostino, Shakespeare e i greci, Roma 1994)


 

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