REGINA: Di
regina e di consorte
Profanato ho il
nome, il so:
Corri Amleto e
dammi morte
Madre almeno io
morirò.
(Dal III atto
di Amleto,
musica di F.
Faccio, libretto di A. Boito)
Amici già al tempo del
Conservatorio di Milano, il poeta Arrigo Boito e il
musicista e futuro direttore d’orchestra (il preferito di Verdi!)
Franco Faccio, nel 1862 iniziano a scrivere il loro
Amleto. Andrà in scena al Carlo Felice di Genova il
30 maggio 1865. Un buon successo, che però non si replicò
quando l’opera – con molte variazioni - venne riproposta alla
Scala di Milano nel 1871: forse proprio perché fu la prima
opera che cercò «di trasferire in linguaggio musicale lo spirito
della tragedia shakespeariana» (G. Melchiori, Shakespeare
all’opera. I drammi nella librettistica italiana, Roma 2006).
Sull’opera di Faccio-Boito,
specie per la fama del librettista-poeta-musicista, esiste ormai
una discreta bibliografia, per la quale si rimanda sempre al bel
libretto di Melchiori.
In soldoni: Boito sta a
Shakespeare come Monti a Omero: entrambi, non conoscendo la lingua
dell’originale, dovettero ricorrere a una traduzione, nel caso di
Boito quasi certamente a quella di Carlo Rusconi, «la cui
versione del teatro completo, pubblicata nel 1838, aveva
raggiunto la quarta edizione nel 1859, e, con ulteriori
modifiche, la quinta nel 1861; probabilmente [il Boito]
avrà anche consultato la traduzione poetica di Giulio
Carcano apparsa nel 1847 e senza dubbio quella recente
francese di François Victor Hugo pubblicata nel 1860»
(Ibid.).
La versione del figlio di
Victor Hugo sarà anche alla base del libretto della più
famosa delle versioni melodrammatiche della storia del principe
Amleto: quella di Ambroise Thomas (1811-1896),
presentata a Parigi nel 1868 (libretto di Michel
Carré e Jules Barbier) opera con la quale la versione
di Boito-Faccio ha non pochi punti in comune, anche se quella
francese, più che su Shakespeare, si basava sull’adattamento di
Alexandre Dumas père e Paul Mourice del 1847.
Boito, benché innovativo, da
librettista già pratico di stereotipi, semplifica Shakespeare più
o meno nello stesso modo in cui aveva operato Dumas padre e quindi
i due librettisti di Thomas: via un bel po’ di personaggi
(Rosencrantz, Guildenstern, Fortebraccio…), via tutta la
labirintudine psicologista dei monologhi del principe, i quali
rischiavano di insabbiare in plumbei nulla di fatto il dramma, via
le mezze tinte foriere di infinite ambiguità. Tutto è ricondotto
all’azione che nasce da emozioni semplici e drastiche: Amleto
vuole vendicare il padre e quindi uccidere Claudio, Laerte vuole
uccidere Amleto, Ofelia ama Amleto perdutamente - e sarebbe
imperdonabile non farla morire in scena con una fantastica scena
di pazzia come andava tanto allora (e nel celeberrimo disco di
Maria Callas Pazzie celebri, direttore N. Rescigno,
la soprano inarrivabile canta quella di Thomas (unico pezzo ancora
in repertorio dell’opera mentre di Boito-Faccio non si canta
nulla) assieme alle follie di Anna Bolena di
Donizetti e del Pirata di Bellini).
Insomma, come una macchina del
tempo a ritroso, sia Boito-Faccio che
Thomas-Carré-Barbier riportano Shakespeare tutt’intero
nell’alveo della “tragedia di vendetta” alla Kyds da cui
l’opera sua si era così incommensurabilmente emancipata. Il resto
è musica.