"Il Compagno segreto" - Lunario letterario. Numero 11, settembre 2007                                        


 

 n. 12 °*° William Shakespeare: Spettro delle mie brame - fantasmi di Amleto  °*° n. 12

 


 

 

18. Boito & Faccio (e Thomas)

 

 

 

 


 

 

REGINA: Di regina e di consorte

Profanato ho il nome, il so:

Corri Amleto e dammi morte

Madre almeno io morirò.

(Dal III atto di Amleto,

musica di F. Faccio, libretto di A. Boito)

 

 

Amici già al tempo del Conservatorio di Milano, il poeta Arrigo Boito e il musicista e futuro direttore d’orchestra (il preferito di Verdi!) Franco Faccio, nel 1862 iniziano a scrivere il loro Amleto. Andrà in scena al Carlo Felice di Genova il 30 maggio 1865. Un buon successo, che però non si replicò quando l’opera – con molte variazioni - venne riproposta alla Scala di Milano nel 1871: forse proprio perché fu la prima opera che cercò «di trasferire in linguaggio musicale lo spirito della tragedia shakespeariana» (G. Melchiori, Shakespeare all’opera. I drammi nella librettistica italiana, Roma 2006).

 Sull’opera di Faccio-Boito, specie per la fama del librettista-poeta-musicista, esiste ormai una discreta bibliografia, per la quale si rimanda sempre al bel libretto di Melchiori.

 

 

In soldoni: Boito sta a Shakespeare come Monti a Omero: entrambi, non conoscendo la lingua dell’originale, dovettero ricorrere a una traduzione, nel caso di Boito quasi certamente a quella di Carlo Rusconi, «la cui versione del teatro completo, pubblicata nel 1838, aveva raggiunto la quarta edizione nel 1859, e, con ulteriori modifiche, la quinta nel 1861; probabilmente [il Boito] avrà anche consultato la traduzione poetica di Giulio Carcano apparsa nel 1847 e senza dubbio quella recente francese di François Victor Hugo pubblicata nel 1860» (Ibid.).

 

 La versione del figlio di Victor Hugo sarà anche alla base del libretto della più famosa delle versioni melodrammatiche della storia del principe Amleto: quella di Ambroise Thomas (1811-1896), presentata a Parigi nel 1868 (libretto di Michel Carré e Jules Barbier) opera con la quale la versione di Boito-Faccio ha non pochi punti in comune, anche se quella francese, più che su Shakespeare, si basava sull’adattamento di Alexandre Dumas père e Paul Mourice del 1847.

 

 

Boito, benché innovativo, da librettista già pratico di stereotipi, semplifica Shakespeare più o meno nello stesso modo in cui aveva operato Dumas padre e quindi i due librettisti di Thomas: via un bel po’ di personaggi (Rosencrantz, Guildenstern, Fortebraccio…), via tutta la labirintudine psicologista dei monologhi del principe, i quali rischiavano di insabbiare in plumbei nulla di fatto il dramma, via le mezze tinte foriere di infinite ambiguità. Tutto è ricondotto all’azione che nasce da emozioni semplici e drastiche: Amleto vuole vendicare il padre e quindi uccidere Claudio, Laerte vuole uccidere Amleto, Ofelia ama Amleto perdutamente - e sarebbe imperdonabile non farla morire in scena con una fantastica scena di pazzia come andava tanto allora (e nel celeberrimo disco di Maria Callas Pazzie celebri, direttore N. Rescigno, la soprano inarrivabile canta quella di Thomas (unico pezzo ancora in repertorio dell’opera mentre di Boito-Faccio non si canta nulla) assieme alle follie di Anna Bolena di Donizetti e del Pirata di Bellini). 

 

 

Insomma, come una macchina del tempo a ritroso, sia Boito-Faccio che Thomas-Carré-Barbier riportano Shakespeare tutt’intero nell’alveo della “tragedia di vendetta” alla Kyds da cui l’opera sua si era così incommensurabilmente emancipata. Il resto è musica.


 

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