"Il Compagno segreto" - Lunario letterario. Numero 12, settembre 2007                                        


 

 n. 12 °*° William Shakespeare: Spettro delle mie brame - fantasmi di Amleto  °*° n. 12

 


 

 

17. Grigorij Kozincev & Dmitrij Shostakovic

 

 

 

 


 

Gamlet di Grigorij Kozincev (1964)

 

«…mura enormi e piccole figure umane»

(G. Kozincev, Shakespeare, Time and Coscience, London 1967)

 

 

Gamlet è del 1964: regia di Grigorij Kozincev, musiche perfette di Shostakovich.

Le parole sono della traduzione di Pasternak. Frutto delle discussioni con il suo maestro Okhlopkov, Kozincev aveva messo in scena Amleto al Teatro Puskin di Leningrado e lavorato per il film dal 1962 al 1964; gli dedicherà anche un saggio (Shakespeare, Time and Coscience, London 1967).

 

Le film trovi scelte importanti: niente non teatro filmato e neanche uno zeffirelliano  film in costume; frantumazione del testo; niente declamazione nella recitazione (come l’Amleto di Amleto raccomanda agli attori) che spesso è un sussurro. Nel complesso, una storia che possa far sentire il presente in un mondo di pietra, ferro, fuoco, terra e mare. – Se vedi il film in originale, non puoi non rimanere ammiratissimo per l’impastarsi di voci silenzi e musiche, con attori che si muovono in scene che ricordano l’Eisenstein di Ivan il Terribile, in un bianco e nero di piombo: un mercoledì delle ceneri, un tempo di fato già consumato che musica e luci rendono perfino intollerabili.

 

 

Amleto corre all’inizio a cavallo verso “un castello di Elsinore, che è un concetto, non un semplice edificio” (P. Quarenghi, Shakespeare e gli inganni del cinema, Roma 2002) e si fa chiudere alle spalle un pesante ponte levatoio: come se quella corsa altro non fosse che il precipitarsi del ragazzo nel suo mastodontico mortifero guscio di noce.

Lo Spettro apparirà come silhouette nera e enorme, che incombe col mantello al vento sul piccolo figlio obbligato a non poter più essere se stesso.

Nello stesso anno in cui Breznev cipiglioso spodesta Kruschev,

 

«Contrariamente a Olivier, Kozincev è particolarmente interessato alla dimensione politica del testo e cerca di recuperarla in tutta la sua attualità del testo e cerca di recuperarla in tutta la sua attualità (ma senza facili attualizzazioni). Amleto è un uomo che lotta, con armi impari, contro il potere; un potere che nasconde dietro cerimoniali impeccabili, dietro un’apparenza accattivante, tutta la sua brutalità. Le forme di controllo che esercita sono raffinate: da un’educazione repressiva a un sistema di sorveglianza senza smagliature. I muri hanno orecchie; dovunque ci sono porte dietro le quali nascondersi; ogni suono crea echi, bisbigli, fruscii.» (Ib.)

 

Amleto è Innokenti Smoktunosvki che, dopo essere stato fatto prigioniero dei tedeschi durante la Seconda guerra mondiale, era stato deportato nell’Arcipelago Gulag ai tempi di Stalin. La solitudine del suo Amleto fa pensare più a un isolamento politico che a una nevrosi senza vera storia. Lo distrugge il contesto e la sua ribellione resta un atto futile e suicida: dopo la sua morte, a tiranno succede tiranno. E il suo cadavere gentile viene subito nascosto dalla folla che saluta il nuovo sovrano.


 

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