"Il Compagno segreto" - Lunario letterario.Numero 13, settembre 2007 

 


 

n. 13 °*° W. Shakespeare : Fantasmi di Amleto  °*° n. 13

 

 

33.  Il fiato di Ofelia

 

 


«La storia di Amleto è la storia di un testo che non esiste.»

(G. Melchiori, intervista a Repubblica)

 

I posteri si vendicano sempre delle avanguardie. Nata come remake di una tragedia di vendetta, ma totalmente sgretolando il senso e le certezze teatrali morali e metafisiche della storia come la si trovava nell’Historia Danica di Saxo Grammaticus (1514), l’Amleto di Shakespeare diventa quasi subito dopo il canovaccio per un ritorno alle regole del genere liberissimamente tradito: al senso sicuro della classica e tetragona tragedia di vendetta che soprattutto con la Hispanish Tragedy di Thomas Kid aveva trovato, alla fine del secolo, l’archetipo potentissimo.

 

Sulla scia di Thomas Rymer (Tragedies of he Last Age, 1677), che sprezzava Shakespeare per quasi tutto: la disobbedienza alle unità aristoteliche, il caos tra tragedia e commedia, la lingua aspra e obsoleta, nonché la “moral indecency” di una drammaturgia  che mostra sovrani criminogeni perfino felicemente e innocenti impunemente massacrati, al punto da far dubitare che la Provvidenza qualcosa faccia per il bene delle creature sue dilette; Jeremy Collier, in A short View of the Immortality and the Profaneness of the English Stage (1698), attacca soprattutto Ofelia, alla quale l’autore riserva la sorte di una follia invereconda, invece di farla morire in tempo per restare virginale almeno nel ricordo:

 

“Poiché era deciso ad annegar la dama come un cucciolo, avrebbe dovuto farla finire in acqua un po’ prima. Tenerla in vita solo per macchiarne la Reputazione ed esibire il Fetore del suo fiato è stato molto crudele.”

 

…poi dicono che i maleducati li ha inventati la televisione.

In generale, dalla riapertura dei teatri dopo gli anni del proibizionismo puritano di Cromwell, correzioni a iosa perché il dramma, vitale incorreggibilmente, ritorni però urbanizzato nell’alveo del senso comune. Ecco lo gnommero complicatissimo mirabilmente riassunto:

 

«Con la Restaurazione, il dramma assoggettato a convenienti tagli, sempre più si caratterizza per il suo protagonista energico, privo di dubbi e pronto alla vendetta. Nella versione di Betterton, iterata per cinquant’anni dal 1661 al 1709, l’Amleto era una tragedia eroica, in quella di David Garrick (1742-1776) subì la riscrittura di tutto il quinto atto, con l’eliminazione, tra l’altro, della melanconica scena del cimitero, mentre a Orazio veniva affidata la restaurazione dell’ordine. La versione di Jean-François Ducis in Francia (1774), un rifacimento che durò per quarant’anni, faceva di Amleto un vincitore che assedia e uccide l’usurpatore Claudio, per sposare infine Ofelia, e similmente quella di Franz Heufeld (1774) consentiva ad Amleto di realizzare la vendetta e sopravvivere”. Nel Settecento, le cose cambiano ma non troppo: “Alla formula “In spite of” ora si affianca quella “because of”, per la quale è proprio nell’associazione del genio con la mancanza di letture e esempi da imitare che si identificano le cause della grandezza di un “wild Shakespeare” come James Thomson lo aveva definito nel suo poema The Seasons nel 1727 (…). Ma ancora non senza costi ideologici, non senza che si rimproveri a Shakespeare di ignorare ad esempio la poetic justice e di fare nell’Amleto insieme il principe e i suoi nemici nella scena finale. (…) Il binomio “Beauties and Faults”, “Bellezze e Pecche”, o “jewels amid rubbish”, “gioielli in mezzo alla spazzatura”, continua ad imperversare, anche se i difetti sono divenuti la condizione stessa della manifestazione del suo genio. Amleto raccoglie sempre la maggior quantità di critiche: l’attacco di Voltaire nel 1761, nel suo Appel à toutes les nations d’Europe, riprendendo la sua prefazione a Sémiramis, si accanisce contro scene come quella dei becchini nel cimitero, riflettendo i tenaci presupposti neoclassici che rifiutano la commistione del comico col tragico. E la famosa messa in scena nel 1772 di un attore celebre come Garrick distrusse (…) buona parte dell’atto quarto e l’intero atto quinto per “liberare dalla spazzatura” la “nobile opera di Shakespeare”,  che così stravolta tenne cartellone per otto anni e 37 recite.»

(G. Restivo, Percorsi della critica su Amleto, in Tradurre/Interpretare “Amleto”, Bologna 2002).


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