"Il Compagno segreto" - Lunario letterario.Numero 13, settembre 2007 

 


 

n. 13 °*° W. Shakespeare : Fantasmi di Amleto  °*° n. 13

 

 

32.  Il poeta del soqquadro

 

 


 

«L’uomo giacobiano è più intelligente dell’uomo elisabettiano.»

(G. Baldini, Manualetto shakespeariano, Torino 1967)

 

 

«La differenza fra gusto elisabettiano e gusto giacobiano, si può anche assimilare a quella fra uno stadio di eccessivo ottimismo e un altro di anche troppo improvviso, se non eccessivo pessimismo: la spensierata allegria della corte di Elisabetta da una parte, e la tristezza e cupezza addirittura di quella di Giacomo I dall’altra. Ma la differenza principale fra l’arte barocca e l’arte del ritardato e bastardo Rinascimento inglese deve cogliersi nel fatto che quella riusciva a vedere e a sorprendere i momenti fuggevoli d’una Natura in perpetuo mutamento, in travaglio di conoscenza e approfondimento di se stessa, mentre questa postulava una Natura perennemente identica. Tipicamente elisabettiano, perché tenacemente legato a questa solida e ferma immagine della Natura, è, ad esempio, il mondo di Spenser, la lucida tornitura della sua stanza, espressione del suo occhio sereno e penetrante, così come elisabettiane erano anche le volute elaborate e stancamente voluttuose dello stile eufuistico, o la generosa difesa della poesia come momento eroico dello spirito, in Sir Philip Sidney. Tipicamente giacobiana, invece, sarà la concisione spezzata fino a essere oscura, della poesia di Donne, la prosa aforistica e scettica di Bacon, la commedia satirica e pessimistica di Ben Jonson.

Pure, forse, soltanto Shakespeare riuscirà a completare in sé la parabola essenziale del passaggio tra queste due posizioni.

 

(…)

 

«Il mondo che si muove attorno a Falstaff è ancora un mondo solido, ben definito, una società, se non altro, che sfrutta le ultime occasioni offerte da una vecchia collaudata struttura; una società che, anche se per poco, regge tuttavia. E, difatto, in Henry V vediamo gli ultimi bagliori del suo trionfo. Ma Falstaff muore, per l’appunto, in quel dramma e questo si conclude con un sonetto in cui il poeta, dopo aver accompagnato nella camera nuziale il re e la principessa sposi (…) s’affretta a mettere in guardia il pubblico che la felicità di coloro ebbe durata breve, che il susseguente regno di Enrico VI ricondusse stragi e discordia in seno al paese e che l’ordine fu messo a soqquadro. Quel disordine, quel soqquadro, Shakespeare non aveva più bisogno di metterli in scena, allora, perché avevano sollecitato, seppur con spirito tutt’affatto diverso, le sue immagini giovanili di poeta drammatico nelle tre parti di Henry VI. Ma il soqquadro a cui vorrà volgere la mente e il canto allo scoccare del secolo non sarà più quello delle lotte civili del proprio paese, o meglio questo potrà avere, per lui, un valore tutt’affatto simbolico: egli s’avvedrà, infatti, d’un soqquadro non più soltanto esterno, ma anche interno al protagonista della storia ch’egli era venuto narrando, a quell’uomo che era sempre stato al centro dei suoi affetti, delle sue cure.

Hamlet nasce nello stesso momento in cui Shakespeare intuisce la natura e la portata di questo soqquadro…»

 

(da: G. Baldini, Manualetto shakespeariano, Torino 1967)

 


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