Che
cosa complicata! – Goldoni per esempio all’inizio sbagliò tutto.
Aveva 25 anni, e già una buona esperienza di autore teatrale. Nelle Memorie racconta che, sicuro di aver composto un capolavoro che non
avrebbe dovuto che essere adattato per essere un libretto perfetto,
andò – era a Milano – da un suo amico potente, direttore dei
balletti, perché lo esaminasse. Il testo fu esaminato assieme a un
gruppo di cantanti di grido, tra cui spiccava il celebre castrato
Caffariello: non ci fu uno che salvò la fatica del giovanotto da una
bocciatura senza appello.
Accompagnato
il giovane sfiduciato in un’altra stanza, Goldoni si sentì dire:
“Ascoltate,
vi indicherò qualcuna di queste regole, che sono immutabili e che
voi non conoscete. I tre personaggi principali di un Dramma devono
cantare cinque arie a testa: due nel primo atto, due nel secondo, e
una nel terzo. La seconda attrice e il secondo alto possono averne
solo tre, e gli ultimi ruoli devono accontentarsi di una, o al
massimo due. L’autore delle parole deve fornire al musicista le
differenti sfumature che formano il chiaroscuro della musica, e
stare attento che due arie patetiche non vengano uno dopo l’altra;
bisogna alternare, con la stessa precauzione, le arie di
bravura, le arie d’azione,
le arie di mezzi caratteri,
i minuetti e i rondò.”
(Goldoni, Memorie,
pp.148-51).
Tornato
a casa, Goldoni prese il manoscritto e lo gettò nel fuoco.
Morale:
solo chi fa parte di un ambiente teatrale, coi cantanti e il
compositore, può scrivere un buon libretto d’opera. Il librettista
è uno scrittore obbediente. Anche un Racine e un Alfieri, del resto,
lo erano nelle loro tragedie; diversi sono solo gli “Aristoteli”:
non le fatidiche unità di tempo, luogo e azione, ma le esigenze del
compositore e “anche del primo buffo, la prima donna, e più di
qualche volta il secondo, terzo e quarto cantante della compagnia”! (L.
Da Ponte, An Extrat, 1819).
Lo
scrittore obbediente, il risolutore di situazioni impossibili, si
faceva eroico nella scrittura dei finali d’atto, garbuglio rispetto
al quale le regole aristoteliche erano giochetti per infanti:
“In
questo finale devono per teatrale domma comparire in scena tutti i
cantanti, se fosser trecento (…) e se l’intreccio del dramma nol
permette, bisogna che il poeta trovi la strada di farselo permettere,
a dispetto del criterio, della ragione e di tutti gli Aristoteli della
terra.” (Memorie).
E,
una volta finito, il testo non è qualcosa che possa illudersi di
riposare nell’Eden della raggiunta definitezza: quel
testo non esisterà mai: esisteranno solo libretti da adattare
costantemente: alla compagnia e al pubblico, ai cantanti che cambiano
e a qualunque altro accidente: vedi anche le differenze tra il Don
Giovanni di Praga e quello di Vienna…