Il
teatro. Te lo sbarca a New York, il 1825, la compagnia di Manuel Garcia.
Rossini. E Mozart? Proponi a Garcia il Don Giovanni. «Se
abbiam personaggi bastanti» risponde «diamolo
presto; è la prima opera del mondo.» Si dà e, quarant’anni dopo,
riascolti commosso il tuo Don Giovanni. Sarebbe ora, a
settantasei anni, di mettersi le pianelle, come Casanova. C’è tempo.
Manca a New York un teatro d’opera: promuovi una sottoscrizione, bussi
a tutte le porte, t’inguai per raccogliere la sommetta necessaria.
Inauguri la Italian Opera House a ottantaquattro anni. Cinque anni più
tardi, perché non puoi farne proprio a meno, cacci l’ultimo respiro.
Fastosi
funerali, ceneri ben presto disperse. Non disperso il tuo nome. Resterai
fra i caporioni di quella banda, quei giramondo dal pronto ingegno,
truffaldini e generosi, ribelli e lecchini, immersi nella vita fino alla
gola. Testimoni, campioni: non di un’Italia, che non c’era: di
un’italianità antica e sempre giovane.