“Le
memorie di Da Ponte infatti, pur se meritano d’esser lette, sono
però inattendibili e caratterizzate dal desiderio di accaparrarsi
la stima e l’ammirazione del lettore.” – “Non prendiamocela
con lui se ha calcato la mano sulle sue piccole vittorie e sui suoi
successi. Lo splendore di Mozart illumina anche lui, il suo
librettista migliore – o, per meglio dire, il suo unico buono.” (W. HILDESHEIMER, Mozart,
Rizzoli).
Scrivere
la propria vita: si ammetterà che l’impresa è abnorme, tediosa,
tendenzialmente infinita, pusillanime, vertiginosamente inutile. – Può
aiutare un Ego ipertrofico, convinto che il centro della scena del mondo
si sposti sotto i propri piedi; buona Musa sarà poi la vendetta che
saldi il conto dei torti subiti con le parole distillate dai propri
coltivati rancori. La cosa è in ogni caso senile, per non dire
mortuaria: questo farsi, insomma, prima della morte, il monumento: con
le pagine estreme, come s’usava (e come si vede nella Vita
di Alfieri) in cui un amico caro descriverà la compostezza stoica del
trapasso del Nostro e del cadavere che resta…
Una
grande tentazione sarà la strada di Rousseau: la “sincerità
integrale”!… La suspense
che dovrebbe attirare pletore di lettori-guardoni sarà vedere se il
Nostro avrà il coraggio di esporsi davvero fino ai lati cupi, esponendo
ferite ancora suppuranti, difetti marcescenti, miserie mal vissute... -
Una via d’uscita opposta da questo marasma sarà invece raccontarsi
ridendo? Nessun ghirigoro psicologico, ma tanti fatti, tutti da dire con
piglio svelto, sentendo sempre ridacchiare comici violini mozartiani
sotto il gorgo di ogni tragedia: ci si fiderà di stilizzazioni al
limite della maschera, per rapide pennellate tiepolesche: ed ecco allora
di nuovo scorrere davanti agli occhi la pletora caotica della vita: ma
come mascherine accorrenti nella ressa d’una calle veneziana,
personaggi in corsa e dagli intrighi imprecisi, tra seduzioni chissà se
davvero compiute o mancate: e poi fughe, arresti, viaggi: la miseria e
la virtù, i re e i lacchè, le cameriere, le prime donne dell’Opera,
gli usurai…
La
vita nel ricordo non sarà mai un testo sacro senza glosse: forse così
per gli stupidi… sono davvero pochi i così detti “fatti”
(esistono?) a cui sentirsi legati come forzati alla catena: la vita, il racconto della vita, è un
canovaccio lacerato su cui non resta che improvvisare: riempirò i vuoti
del ricordo con falsità accattivanti, facendo svanire le sgradevolezze
tra menzogne leggere: giochi talmente divertenti da non pretendere mai
di essere troppo creduti. Nascerà allora un libro con colpi di scena,
fughe, trionfi indimenticabili che tutti hanno dimenticato, pericoli
schivati giusto in tempo, con il dapontesco signor “Io” che cade
sempre in piedi: vitale e spaccone, entusiasta e imperdonabile… un
libretto così festosamente inaffidabile, così “moderno”, quando
uscì, apparve molto Settecento: rococò, ancien-régime: finto come i
nei delle signore nei ormai tediosi Fragonard e Boucher: e poi con
quell’orgoglio dell’avventuriero libertino che l’Ottocento di
orridi Ortis e vergini fulgenti di virtù non poteva neppure più
capire, se non in qualche pestifera eccezione, come Stendhal!...