"Il Compagno segreto" - Lunario letterario. Numero 4 aprile 2003

 


Don Giovanni di Lorenzo Da Ponte & W. A. Mozart

Foto di E. J. Bellocq

 

 

1. Perché scrivere la propria vita?

 

Illazione sulle Memorie di Lorenzo Da Ponte 

 


“Le memorie di Da Ponte infatti, pur se meritano d’esser lette, sono però inattendibili e caratterizzate dal desiderio di accaparrarsi la stima e l’ammirazione del lettore.” – “Non prendiamocela con lui se ha calcato la mano sulle sue piccole vittorie e sui suoi successi. Lo splendore di Mozart illumina anche lui, il suo librettista migliore – o, per meglio dire, il suo unico buono.” (W. HILDESHEIMER, Mozart, Rizzoli).

 

 

Scrivere la propria vita: si ammetterà che l’impresa è abnorme, tediosa, tendenzialmente infinita, pusillanime, vertiginosamente inutile. – Può aiutare un Ego ipertrofico, convinto che il centro della scena del mondo si sposti sotto i propri piedi; buona Musa sarà poi la vendetta che saldi il conto dei torti subiti con le parole distillate dai propri coltivati rancori. La cosa è in ogni caso senile, per non dire mortuaria: questo farsi, insomma, prima della morte, il monumento: con le pagine estreme, come s’usava (e come si vede nella Vita di Alfieri) in cui un amico caro descriverà la compostezza stoica del trapasso del Nostro e del cadavere che resta…

 

Una grande tentazione sarà la strada di Rousseau: la “sincerità integrale”!… La suspense che dovrebbe attirare pletore di lettori-guardoni sarà vedere se il Nostro avrà il coraggio di esporsi davvero fino ai lati cupi, esponendo ferite ancora suppuranti, difetti marcescenti, miserie mal vissute... - Una via d’uscita opposta da questo marasma sarà invece raccontarsi ridendo? Nessun ghirigoro psicologico, ma tanti fatti, tutti da dire con piglio svelto, sentendo sempre ridacchiare comici violini mozartiani sotto il gorgo di ogni tragedia: ci si fiderà di stilizzazioni al limite della maschera, per rapide pennellate tiepolesche: ed ecco allora di nuovo scorrere davanti agli occhi la pletora caotica della vita: ma come mascherine accorrenti nella ressa d’una calle veneziana, personaggi in corsa e dagli intrighi imprecisi, tra seduzioni chissà se davvero compiute o mancate: e poi fughe, arresti, viaggi: la miseria e la virtù, i re e i lacchè, le cameriere, le prime donne dell’Opera, gli usurai… 

 

La vita nel ricordo non sarà mai un testo sacro senza glosse: forse così per gli stupidi… sono davvero pochi i così detti “fatti” (esistono?) a cui sentirsi legati come forzati alla catena: la vita, il racconto della vita, è un canovaccio lacerato su cui non resta che improvvisare: riempirò i vuoti del ricordo con falsità accattivanti, facendo svanire le sgradevolezze tra menzogne leggere: giochi talmente divertenti da non pretendere mai di essere troppo creduti. Nascerà allora un libro con colpi di scena, fughe, trionfi indimenticabili che tutti hanno dimenticato, pericoli schivati giusto in tempo, con il dapontesco signor “Io” che cade sempre in piedi: vitale e spaccone, entusiasta e imperdonabile… un libretto così festosamente inaffidabile, così “moderno”, quando uscì, apparve molto Settecento: rococò, ancien-régime: finto come i nei delle signore nei ormai tediosi Fragonard e Boucher: e poi con quell’orgoglio dell’avventuriero libertino che l’Ottocento di orridi Ortis e vergini fulgenti di virtù non poteva neppure più capire, se non in qualche pestifera eccezione, come Stendhal!... 

 


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