“Dov’ero
rimasto? Mio Dio, com’è scritto male, tutto questo!”
Così
nei “Ricordi di egotismo”. E’ la conseguenza di un
metodo deliberatamente perseguito: “Per sforzarmi di non
mentire e di non nascondere i miei errori, mi sono imposto di
scrivere questi ricordi venti pagine per volta, come una
lettera. Dopo la mia dipartita si darà alle stampe dal
manoscritto originale. Forse conquisterò così la veridicità,
ma bisognerà anche che io supplichi il lettore (nato probabilmente questa mattina nella
casa accanto) di scusare le mie terribili digressioni.”
La
“verità” è dunque qualcosa che, se sbuca fuori, è quasi
involontariamente, per effetto di una scrittura talmente veloce
da essere “quasi automatica” (G. Macchia). La corsa della
penna sulla pagina non dà il tempo alle censure della vanità e
del moralismo, del buon gusto e dello “stile”, di scattare e
trasformare tutto in pura e leccata “letteratura”.
“Se
si ha da dire una cosa, la si dice e basta!”, scriveva spesso
Cioran, altro eroico nemico dello “stile”: Stendhal avrebbe
sottoscritto.