1830 :
dopo gli anni plumbei di Luigi XVIII e Carlo X – uno dei tanti
periodi in cui si dà il trionfo smaccato degli incompetenti -, con
le giornate di Luglio, qualcosa accadde. Stendhal non partecipò
alla rivoluzione, che pure condivise, ma era certo di avere le carte
in regola per ottenere un incarico di prestigio dalla nuova
monarchia: fu il consolato a Trieste. Stipendio, 15.000 franchi.
Quando lo seppe, fu pazzo di gioia, ma solo perché non immaginava
cosa lo aspettasse.
Partì
il 6 novembre da Parigi anche se non aveva il riconoscimento formale
dell’Austria (l’exequatur). Arrivò, il 25,
da terra, e cioè nel modo più bello: a un certo punto la
strada tocca il costone dell’altopiano che cade a strapiombo sul
mare: lì all’improvviso si apre al viaggiatore la vista del
golfo. Scrisse sui margini di un libro: “Veduta strana, cielo nel
mare, ad una immensa profondità, a destra, luci. E’ Trieste…”
Anche
se italiana per il
patriziato, il teatro lirico, l’eleganza dei palazzi, ecc., per
lui Trieste era troppo tedesca (e il tedesco era forse più parlato dell’italiano): era
burocratica e pensava solo ai soldi: che differenza con un Amburgo
qualsiasi? - E poi faceva freddo: giunse alla conclusione che la
bora non fosse solo un vento, e cioè qualcosa che può far volare i
cappelli, ma una furia gelida che scaraventa in terra le persone e
che può romperti un braccio.
Ci
rimase quattro mesi per niente.
Nell’attesa
vana dell’exequatur, visse accuratamente ignorato da tutti.
Console non riconosciuto, Stendhal cenava da solo e frequentava
quasi solo le prostitute. La sua sola altra fedele compagna fu la
polizia che lo pedinava e gli leggeva la corrispondenza (cosa che
lui sapeva benissimo): così scoprì che il console era un
romanziere. Si fece correre la voce in città come una calunnia.
A
Trieste ascoltò per la prima volta Bellini – che non gli fece
effetto (una frase interessante: “Come mi interessò tutto ciò
nel 1820! Attualmente ho buon gusto cioè una difficoltà a
sentire”) – e si infatuò di Caroline Unger: giovane soprano
che Beethoven aveva voluto per la Nona, e che, venticinquenne, non
trovò interessante la corte di quell’equivoco console di
quarantotto.
Oltre
che anzianotto, Stendhal era sempre più grasso: al punto da doversi
far spedire da Parigi una poltrona speciale – 150 franchi! – da
un ebanista che faceva sedie a misura dei sederi dei clienti.
Intanto,
cosa doveva fare un console?
Cose
insulse: scrivere relazioni sui carichi di olio pugliese (piaceva
agli inglesi) con relative oscillazioni dei prezzi; idem per le
granaglie… e poi annotare le entrate e le uscite di navi da
guerra, e gli spostamenti di truppe: rondò che non significano
niente di eccezionale.