Città
fatale. - A margine del LIX capitolo de "De
l'amour" si legge:
"Vol.
1819. I caprifogli alla discesa". La nota è generalmente
omessa nelle edizioni correnti, perché considerata oscura e non
essenziale. In realtà è una vera e propria istantanea, una
"sigla": vuol dire “Volterra, 1819” e rimanda a uno
dei momenti fatali della vita di Stendhal.
Ecco
i fatti.
Nella
primavera di quell'anno, Matilde si reca nella cittadina toscana per
visitare i figli in un collegio. Stendhal, non potendo sopportare la
prospettiva di stare lontano dall'amata, nei primi giorni di giugno
decide di raggiungerla in incognito e di guardarla da lontano, senza
essere visto. Appena giunto a Volterra, adotta un travestimento
patetico: un paio di occhiali verdi.
Il
paese è piccolo; le stradine, all'ombra delle antiche case-torri
medioevali, sono strette. Matilde è la prima persona in cui si
imbatte. Lei ha un gesto di stizza e si allontana senza rivolgergli
neppure una parola.
Disperato,
Stendhal esce dalla stretta delle mura che circondano la città; lo
sguardo si apre sui giardini e sulle valli verso il mare, che lui
contempla per ore.
Da
Porta all'Arco giunge alla Porta Fiorentina, nel giardino del signor
Giorgi incontra di nuovo Matilde (ecco i “caprifogli
alla discesa”!), sempre
molto contrariata. La mortificazione cancella in un buco nero il
paesaggio: le “superbe mura
etrusche” sono nominate solo come fondale di sognate
e ormai impossibili passeggiate con lei. Si perde nella città
come se non l'avesse mai vista prima, come se la disperazione gli
avesse azzerato la memoria: deve ritrovare le strade su una
mappa abbozzata proprio dal fratello di Matilde.
Sfondo
di un dramma, questa è un’altra Volterra rispetto a quella
descritta qualche anno prima, da turista scrupoloso e spensierato, attratto dalle antichità, in
“Roma, Napoli e Firenze”.
Il
luogo che gli aveva tolto ogni speranza di felicità
dovette fornirgli, proprio in quei giorni, anche la medicina
al suo dolore. A margine del primo capitolo del
"De
l'amour", una nota, datata al 10 giugno 1819, avverte che
il libro è tradotto liberamente da un manoscritto di
Lisio Visconti. Glielo aveva affidato in punto di morte,
avvenuta “da
poco tempo in Volterra, sua patria”, con il permesso di
pubblicarlo purché “avesse trovato modo di renderlo in una
conveniente forma”.