1.
“Il
trattamento del colera esige dal medico prima di tutto molta
disponibilità di tempo; bisogna cioè dedicare a ogni ammalato da
cinque a dieci ore, se non di più. Alla letteratura, naturalmente, non
c’è neanche da pensare. Non scrivo nulla. Per riservarmi un minimo di
libertà d’azione, ho rifiutato ogni compenso e mi trovo perciò senza
un soldo... Quando saprete dai giornali che il colera è finito,
significherà che avrò ricominciato a scrivere. Finché, invece, sarò
al servizio dello zemstvo, non mi considerate uno scrittore. Non si
possono fare due cose alla volta.”
(A.
ČECHOV, lettera a Aleksèj S. Suvòrin, 16
agosto 1886)
2.
“Alla
fiera di Nižnij stanno facendo miracoli che costringerebbero perfino un
Tòlstoj a trattar con rispetto la medicina (…). E’ come se avessero
gettato un laccio al colera. E’ diminuito non soltanto il numero dei
casi, ma anche l’indice di mortalità. Nell’immensa Mosca non si
registrano più di cinquanta casi per settimana, mentre sul Don ce n’è
un migliaio al giorno – una differenza impressionante. Noi, medici di
campagna, abbiamo un piano d’azione ben definito e c’è motivo di
credere che anche nei nostri settori riusciremo a ottenere una
diminuzione dei casi letali. Non abbiamo assistenti; dobbiamo fungere d
medici e da infermieri nello stesso tempo. I contadini sono rozzi,
sporchi, pieni di diffidenza; ma tutto questo passa quasi inosservato al
pensiero che le nostre fatiche non saranno vane. Fra tutti i medici di
Serpuchòv io sono il più tapino; i miei cavalli e la mia carrozza sono
in uno stato miserando, non conosco le strade, di sera non ci vedo, non
ho soldi, mi stanco presto; ma soprattutto non riesco a dimenticare che
dovrei scrivere e a volte ho una gran voglia di piantare in asso il
colera e di mettermi a tavolino. Vorrei anche fare quattro chiacchiere
con voi. Sono solo come un cane.”
(A.
ČECHOV, lettera a Aleksèj S. Suvòrin, 1° agosto 1891)