La
carne troppo forte sull’anima
e l’anima
sulla
mente, Fisico > affettivo > intellettuale.
(P.
Valéry, Quaderni, vol. 1)
Provando
a imparare qualcosa per contrasto, come succede per esempio con le
prove dei detersivi, cosa
succederà a tenere fianco a fianco i Cahiers
di Paul Valéry e lo Zibaldone
di Leopardi? Proprio perché esempi di due possibili modi d’operare
sostanzialmente antagonisti!...
Da
una parte, infatti, Leopardi per drastica carenza di vita costretto ad
essere solo Scrittura (più di 4.000 pagine in quattro anni!), soffre
nella sua gabbia di Puro Genio, “uccello” profetizzato già da sé
in una delle “puerili” che puoi leggere anche qui, e che però
sbatte continuamente contro le sbarre d’una Vita Subìta...
Di
ciò, Paul Valéry - a credergli - avrebbe goduto altissimamente: per
la sua progressiva e castrante sublimazione cartesiana
(vedi
il volume n.5 dei Quaderni!),
per la sua utopica pervicace abolizione della “res extensa” quale
carnoso residuo accidentale di un Pensiero Puro? - A Recanati, si
sarebbe ridotto ben prima a Monsieur
Teste, borghese macrocefalo, tutto neuroni e sinapsi, sgravato di biografia
e di bios
tout-court, capace solo, e finalmente, d’algebra e
purificazione...
Si
cerca allora sempre e solo ciò che manca?
Il
contino recluso, coerente allo spasimo con l’idea
che “il
corpo è l’uomo” (Dialogo
di Tristano con un amico),
anche con il suo Zibaldone, scrive “una storia del corpo”
(A. PRETE; Pensiero
poetante); mentre il libero ed acclamato Accademico di
Francia gioca il gioco dell’autoreclusione dalla sterminata impurità
della Vita?
L’operazione
di Valéry - come quella di Leopardi - non può che raffinare assieme
linguaggio e pensiero: nel suo caso però per qualcosa di iperuranico,
gelido, spietato e quindi “vero”: Leopardi sensuale e
sensista, sulla scorta di Beccaria, direbbe che quest’uomo cerca
“termini” e non “parole”?
In
ogni caso, come per tanti platonici coscenziosi, per Valéry
arrivarci, al Vero, vuol dire spolpare, scarnificare, disossare...
- Così, lì dove il Francese scova la geometrica verità prima celata
da apparenze casuali e bizzose, Leopardi non disconosce il frutto
ottenuto da cotanta costanza, ma chiama il risultato di un tale streape tease
delle libidinose apparenze “scheletro”: e come tale lo saluta.