"Il Compagno segreto" - Lunario letterario. Numero 8 luglio 2004

 

Elogio degli uccelli di Giacomo Leopardi


 

 

 


15.  A qualcuno piace caldo? 

 

 

 “peut-être rien écrit de mieux dans 

la prose italienne de nos jours” 

(A. Manzoni discorrendo col De Sinner, c.a. nel 1830)

 

“quel libro senza uguali in altre letterature...”

 (I. Calvino, Lezioni americane).

 

 “Pagano d’idee come il Foscolo... logoro degli studi e tossicoloso, 

stillava la quintessenza delle angosce senza rasssegnazione, mandando 

talvolta fin all’anima un gemito, simile ai gridi idrencefalici.”  

(C. CANTU’, Storia della letteratura italiana, 1865)

 

Per il massimo delle gioie possibili, occorreranno strategie multiple, accorgimenti svariati e trame spesso contraddittorie, il che potrà turbare il teologo e il teoretico, ma non muoverà un baffo al “filosofo pratico” che, come sarà per Carl Gustav Jung, riterrà “vero” non ciò che non si contraddice nelle carte, ma quanto guarisce nella carne.

Le Operette morali possono infatti essere lette benissimo come puro vademecum di sopravvivenza tra gli alti e bassi dell’esistere: tra tedio e malanni, cattività e semplice stupiderìa umana, infatti, occorrono più salvagente di quelli che Qui Quo e Qua sanno trovare nel Manuale delle Giovani Marmotte.

E così, in mancanza di uccelli incantevoli, o anche per coadiuvarne l’effetto, trovi in un libro dai “risultati artistici da mozzare il fiato” (L. Cellerino, Operette morali, Letteratura Einaudi), tutt’un diorama di rimedi al malvivere, fossero anche paradossali: “il recupero dell’inesperienza, dell’ignoranza dell’immaginazione e delle passioni dell’antichità, benché, o perché, fondate sul falso; il che, se non fosse impossibile, sarebbe mezzo per migliorare la vita umana, in senso collettivo e individuale; in alternativa si suggeriscono francamente misure di narcotizzazione.” (Ib.).

C’è dunque del metodo in codesta follia: con le sue “prosette satiriche” (Lett. a Pietro Giordani, 4 sett. 1820), Leopardi scommette di saper fare piroette da funambolo leggerissimo tra pesantezze da vertigine: una capriola alla Cavalcanti (quella che offrì a Calvino la figura della leggerezza) moltiplicata per mille!

Come una commedia di Billy Wilder, acre e perversa sotto una mascherina fatua e gentile, il libro è infatti “di argomento profondo e tutto filosofico e metafisico” (Zib. 2436-7). Così, l’opera “vorrebb’esser giudicata dall’insieme, e dal complesso sistematico, come accade di ogni cosa filosofica, benché scritta con leggerezza apparente” (Lett. a Stella, 6 Dic. 1826).

Come per Billy Wilder (Stalag 17, L’appartamento, Il frutto proibito...) questi “dialoghi Satirici alla maniera di Luciano” serviranno a “portar la commedia a quello che finora è stato proprio della tragedia” (Zib., 1393). - Con un “cinismo” leopardiano fraterno al noto cinismo di Wilder.

Che, per le Operette, può benissimo essere detto così: “un libro quindi non suasorio, straniante e inquietante, quanto può esserlo un’opera filosofica che dubiti dell’utilità della filosofia, della sapienza e della verità nella prospettiva del bene dell’umanità, nonché dello stesso bene.” (L. Cellerino, Op. cit.).

 


 

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