"Il Compagno segreto" - Lunario letterario. Numero Numero 8, luglio 2004                        


Ogni scrittore, come ogni persona, ha le sue stelle d’orientamento, e a sua volta è stella (danzante?) per altri. 

Proviamo a segnalarne qualcuna

 

L'Elogio degli uccelli di Giacomo Leopardi 

 


 

 

20. Preziosa Ghirlanda degli Insegnamenti degli Uccelli

 

 

       


 

A dirla tutta, siamo proprio sicuri sia davvero così incantevole, Aprile? O forse è semplicemente, desolatamente, il mese più crudele? Di certo è tempo di cuculi, gaukmánuôr nelle tradizioni nordiche, come del resto confermato dal zufolio in rima del nostro contadino toscano: ai cinque d’aprile/ il cuccù deve venire:/ se non viene ai sette e agli otto/ o ch’ è perso ch’è morto.  

 

Il cuculo, dunque: re dei pennuti, metamorfosi pacifica del più rapace sparviero, sorta d’usignuolo d’Oriente, e a dispetto delle più false nomee (è l’adultero in Pene d’amore perdute di Shakespeare), oltre che delle etimologie più diffamanti (è il tradito secondo Littré), nientemeno che inviato dell’Altissimo. Sicché tanto di cappello, e fucili nella guaina: la Preziosa Ghirlanda degli insegnamenti degli uccelli chiarisce tutto. 

 

 

Siamo in Tibet, ma potrebbe essere la Persia di Farīd ad-dīn ‘Attār, dove tra fiaba e storia Fortuna vuole non vi sia valico: Segreto Tibet, tanka e bodhisattva che più bön non si può: un cuculo è alto in volo; traversa negli eoni degli eoni ettari di desolate indifferenze, persino ingrate province cinesi, sino a planare sulla valle dello Yarun, dove generazioni di funzionari devoti si tramandano l’onorevole compito d’accender ogni giorno piccole lampade a burro nel tabernacolo smunto della pieve. Lì s’attende l’arrivo dell’uccellino, lì il canto suo rapinoso e soave istruirà sull’impermanenza delle cose, vale a dire su tutto il Nulla. 

 

Insegna la Preziosa Ghirlanda che il cuculo, nient’altro che metamorfosi allegorica di Avalokiteśvara, in quell’eterno istante della rivelazione s’insediò di tra le fronde d’un sandalo odoroso; rimase lì, immobile, imperturbabile, come “agendo senza fare”, finché un pappagallo “esperto nel parlare” gli offrì dei frutti: un invito a parlare. Ne sgorgò un canto d’amore, dalla gioia compassata, bonaria: caritatevole dono offerto per la nostra salvazione. Una sontuosa Quiete del cuore invase il pappagallo, e come strappata alla vita per un patto feroce, una negoziazione in punta di spada.

 

 

Ecco l’insegnamento: “dammi quanto basta, non un attimo di più, e saprò io che farne. Il resto tientelo”. Dichiarazione di frugalità, quanto a dire, candidatura alla ricchezza. Del resto, ognun sa: solo il Divino è totale nel sorso e nella briciola. Solo la morte lo vince se chiedi l’intera porzione. (Montale, Rebecca, 1970) 

 

(La cronaca riporta che il pappagallo cantò l’immediato satori, e di seguito, ormai compresa la Necessità, non poté non adoperarsi perché l’universo mondo dei pennuti fosse anch’esso iniziato; li convocò dunque in assemblea, aereo parlamento, proponendo di ritrovarsi ogni anno nello stesso luogo, per sempre.)

 


 

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