A
dirla tutta, siamo proprio sicuri sia davvero così incantevole,
Aprile?
O forse è semplicemente, desolatamente, il
mese più crudele?
Di
certo è tempo di cuculi, gaukmánuôr nelle tradizioni nordiche,
come del resto confermato dal zufolio in rima del nostro contadino
toscano: ai
cinque d’aprile/ il cuccù deve venire:/ se non viene ai sette e
agli otto/ o ch’ è perso ch’è morto.
Il
cuculo, dunque: re dei pennuti, metamorfosi pacifica del più rapace
sparviero, sorta d’usignuolo d’Oriente, e a dispetto delle più
false nomee (è l’adultero in Pene
d’amore perdute di Shakespeare),
oltre che delle etimologie più diffamanti (è il tradito secondo Littré),
nientemeno che inviato dell’Altissimo. Sicché tanto di cappello,
e fucili nella guaina: la Preziosa
Ghirlanda degli insegnamenti degli uccelli chiarisce
tutto.
Siamo
in Tibet, ma potrebbe essere la Persia di Farīd
ad-dīn ‘Attār, dove tra fiaba e storia
Fortuna vuole non vi sia valico: Segreto Tibet, tanka e bodhisattva
che più bön non si può: un cuculo è alto in volo; traversa negli
eoni degli eoni ettari di desolate indifferenze, persino ingrate
province cinesi, sino a planare sulla valle dello Yarun, dove
generazioni di funzionari devoti si tramandano l’onorevole compito
d’accender ogni giorno piccole lampade a burro nel tabernacolo
smunto della pieve. Lì s’attende l’arrivo dell’uccellino, lì
il canto suo rapinoso e soave istruirà sull’impermanenza delle
cose, vale a dire su tutto il Nulla.
Insegna
la Preziosa Ghirlanda che
il cuculo, nient’altro che metamorfosi allegorica di Avalokiteśvara,
in quell’eterno istante della rivelazione s’insediò di tra le
fronde d’un sandalo odoroso; rimase lì, immobile, imperturbabile,
come “agendo senza fare”, finché un pappagallo “esperto nel
parlare” gli offrì dei frutti: un invito a parlare. Ne sgorgò un
canto d’amore, dalla gioia compassata, bonaria: caritatevole dono
offerto per la nostra salvazione. Una sontuosa Quiete del cuore
invase il pappagallo, e come strappata alla vita per un patto
feroce, una negoziazione in punta di spada.
Ecco
l’insegnamento: “dammi quanto basta, non un attimo di più, e
saprò io che farne. Il resto tientelo”. Dichiarazione di frugalità,
quanto a dire, candidatura alla ricchezza. Del resto, ognun sa: solo
il Divino è totale nel sorso e nella briciola. Solo la morte lo
vince se chiedi l’intera porzione. (Montale,
Rebecca, 1970)
(La
cronaca riporta che il pappagallo cantò l’immediato satori, e di
seguito, ormai compresa la Necessità, non poté non adoperarsi
perché l’universo mondo dei pennuti fosse anch’esso iniziato;
li convocò dunque in assemblea, aereo parlamento, proponendo di
ritrovarsi ogni anno nello stesso luogo, per sempre.)