“Raggiante
nell'effuso splendore dell'estate, affocata dai grandiosi incendi
autunnali, avviluppata di argentei veli sotto la campana di vetro
dell'inverno, permeata e come stemprata dai freddi bagliori e dalle
calde ombre trascorrenti per i cieli primaverili, opaca terrea
livida nella tempesta, diafana e pallidamente rosata tra il vaporare
azzurro delle grandi lune, essa ci sta davanti agli occhi come
solida realtà, ma al tempo stesso ci avverte che il suo essere non
si adegua alla misura del quotidiano, non risponde alle leggi della
statica e dell'estetica usuali, è una pura creazione della fantasia
accesa dalla fede”
(Diego Valeri, Guida Sentimentale di
Venezia).
A
volte, proprio quando le folgori degli eventi paiono accecanti, a
volte capita di vedere attraverso,
come si riuscisse a restar a côté
del proprio corpo, per un istante sottratti al pantano
dell’Attuale, dolorosissimo, seduti nella rarefazione del Vuoto, i
colori e gli odori finalmente a turbinare… È allora che ritorna
l'anima ch'era dipartita, accesa alle visioni del cuore, rapita al sé,
"gettata infine in lacrime, come un cencio, lontano"; solo
allora, anche una modestissima punta di spillo, se la fissi, può
rivelarti dolcissime vie di consolazione. Proprio come davanti a una
candela, assicurava Bachelard: in quella “fiamma il Tempo si mette
a vegliare”, ché son davvero cessate tutte le cadute libere e le
valanghe a blocchi. Cronos finalmente riposa.
Del
resto, le Enneadi
sono qui per questo, per spiegarcelo: se
l'Uno -come deve- è quella medesima candela, non sarà forse la
Realtà visionaria, l’unica, l’autentica: Venezia, non sarà
forse quella la sola possibile sfera luminescente che si espande
d’attorno. “Bisogna che i tuoi occhi si rendano simili
all'oggetto da vedere, e gli siano pari, perché solo così potranno
fermarsi a contemplarlo. Mai un occhio vedrà il Sole senza essere
divenuto simile al Sole, né un'anima contemplerà la bellezza senza
essere divenuta bella” (Enneade
I, 6 ).
Venezia,
dunque, come estremo limite dell’irradiazione, Luce irrelata,
impronta della vacca sull'impronta dell'uccello (Veda): Harmonia
coelestis o nostalgia del Divino?
“Perfino
nella tarda sera del Venerdì Santo, allorché tutte le lampade sono
spente, e sola vige, sotto la cupola dell'altar maggiore, la
palpitante fiammella d'un cero, quell'oro si spande in brividi
vaguli e subita nei brillii per la grande ombra cava, e quelle
figure, ingigantite e impallidite nella tragica maestà dell'ora,
operano i loro incantesimi di gesto e di parola sulle anime
inginocchiate. Anche allora, forse allora più che mai, la chiesa
sembra, meglio che una costruzione umana, un dono divino” (Diego
Valeri, Guida Sentimentale di Venezia).