"Il Compagno segreto" - Lunario letterario. Numero 5, ottobre 2003

 


Interviste impossibili  di Giorgio Manganelli

 

 

 

 

11. Casa "La Vita"

 


Manganelli era l’idea platonica dell'"ospite pagante"; un tapiro allocato in casa altrui, più precisamente, in casa Magnoni, dove continuò a stirare la sua anima gualcita per almeno dieci anni.

Fedelissimo, per nulla lamentoso, disposto persino a inscatolarsi via via assieme ai paralumi, le stoviglie e le pipe del nonno durante i traslochi di "famiglia". Più deambulabile d'un canarino nella gabbia, siccome figlio maggiore, lasciò la propria camera soltanto alla morte del Pater Familias. E rinacque solitario in centro città, lontano dalla tristezza ministeriale, in pieno Satyricon petroniano. Roma bassa, fitta di adulteri uxoricidi, pesce fresco, domenicani della Minerva, bari e rivenditori autorizzati di varechina; calco di gesso esattissimo per la Sioscrofa, assecondata in tale bailamme nella propria volontà di nascondimento; dedalo di vicoli manieristi e uliginosi, vagamente  redolenti di caciottelle, donde casomai dominare le proprie legioni sparse in libera uscita.   

"Ho un rapporto agonistico con la casa, e contemporaneamente un rapporto di cattivo vicinato. E' un luogo equivoco, come dimostra io fatto che io la abito. Non si raccomanda proprio per quel motivo. é una tana, una latrina, un deposito di libri, di materiale scritto." (La penombra mentale).

Certo, un castello è un castello è un castello è un castello; finalmente l’occasione d’impalmarsi  “Monarca del Re” (o anche solo Luogotente di Guarnigione, come Laclos all'Ile de Ré); e pattinando magari tra saloni orfani dei ricevimenti con le tapparelle serrate, le serrande tappate; due tre scale senza uscita, piranesiane;  tizzoni ardenti alle pareti, conegrina che scoppia dai muri; un sommesso tramestio di catene che da soffitte allumacate di muffa si promana per ogni segreta stanza... Castello diruto, boekliniano; ma volendo anche “di Otranto”, omaggio al Gothic Revival più geroglifico; certo meglio se abbandonato (al contrario "la casa disabitata non funziona, perché una tana deve avere l'odore almeno dello sterco dell'animale che ci abita.") Essere al contempo castellano e mezzadro di sé, allora sì!, allora sì che si abdicherebbe subito, e senza sommosse di coscienza, alla propria natura coranicamente nomade e cammelliera; farsi finalmente chioccia sedentaria, una volta licenziati con giusta causa tutti "i demoni ventosi e inquieti che abitano il deserto"(la fitta trama di Allah), e il cuore nostro rilkianamente desertificato.

"Non è una cosa... soprattutto oggi la casa non è più... non lo è mai stata, ma oggi soprattutto non è un luogo... ecco, l'errore è forse nato nel momento in cui  si è pensato che la casa fosse un luogo in cui si doveva abitare, non soltanto una struttura che occupa uno spazio con un disegno. Il castello è una casa, la casa non è una casa. La casa è veramente e solo una tana, è il luogo dove ci si acquatta" (La penombra mentale).

  


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