Ma
allora tutte le ciance sull’infanzia come promessa gloriosa tradita,
esistenza beata e smarrita, tutte le rivelazioni di Jung e Kéreny e
Florenskij sbaragliate da una provvida e “meditata potatura
di una disordinata selva di futuri disoccupati”?
“Riconosco
che il bambino è una forza economica rilevante, che è un cliente
importante, che per lui si fabbricano oggetti dissennati e costosi. So
che molte famiglie vivono grazie a questi traffici, e me ne rallegro,
sebbene quei guadagni facciano vivere anche i bambini di quelle famiglie”
(Improvvisi).
Ma
non era Elio Aristide, e ancor prima il divo Plato nel
Filebo, a
insegnare che l’adulto può essere “serio e allegro al contempo”
solo se vive immerso nella trasognata realtà bambina, in una sorta di
inveterato culto di Horo, nel tanto decantato Stupore Infantile, casomai
trastullandosi contemporaneamente di “una tragedia e una commedia”?
Passatismi edulcoranti?
Hoffmansthal
dal canto suo aggiungeva: “solo gli artisti e i bambini sono in grado
di concepire la vita come totalità, gli unici cui è lecito dire
qualcosa sulla morte che è il prezzo della vita.” E persino Origene,
più filosofo che eunuco, commentava da
Matteo: “il sapiente è
simile al fantolino che gioca davanti alle bare dei genitori morti:
l’archetipo della sua purezza”. Ma che Sleale innocenza! Poi uno
dice il bambino non è "un animale abbastanza molesto"! (La
penombra mentale) Qui è il caso di rovesciare i versi del secentista
Traherne, e ben vengano le infanzie assassinate dal miele colmo di
punture! Ben venga Erode, il voivoda Vlad, e Gilles de Rais! “Caro
direttore, La prego, niente inchini. Suo Erode”.