"Il Compagno segreto" - Lunario letterario. Numero 5, ottobre 2003

 


Interviste impossibili  di Giorgio Manganelli

 

 

 

 

5. La tana

 


 

Tra séances de sommeil e dormite vere e proprie, Robert Desnos tormentava Breton: andiamo al cinema! Meglio se in una sala di periferia. “Lì sono deserte come un hangar, e belle come un imbarcadero da sogno. I grandi edifici del boulevard, con le loro poltrone di velluto rosso e la loro architettura d’Opéra-comique, là dove le dorature si schiantano sul Fromage à la Crème delle cariatidi, ecco, quelli sono laidi e antipatici. Anche i migliori film vi perdono la loro selvatica ferinità...”  I Raggi e le ombre, che bel saggio lacrimogeno! Apparve nel 1923 sul Paris Journal, e fu subito tutto un lamento didonio per le vecchie sale d’antan, quelle che erano lì lì per scomparire: lunghi corridoi poltroniti, dove le grida degli operatori ruggivano bestialmente, eternandosi a volte in eco imperitura (in qualche modo assai simile al famoso grido del pizzaiolo napoletano: perché pur sempre di pizze si trattava!).

Cinema fatiscenti, con gli orchestrali scalcagnati in fondo; luoghi in cui ci si recava non si sa bene se per ascoltare le Boeuf sur le Toit, o vedere magari l’Hussard, anche lui, stranamente, sur le Toit. E con quegli ensemble musicali che “s’ingegnavano in certi brusii discordanti, proprio come un’orchestrina da piroscafo che affonda, coi musicisti che per una consuetudine mai estinta dopo il Titanic continuano comunque a suonare la valse avviata.” Atmosfere ovattate, en souplesse, da veglia diurna. Un po’ quel che cercava Manganelli, évidemment: "Roma contiene innumerevoli sale cinematografiche. […] Fuori c’è il Barocco, la porchetta, il Colosseo, ci sono i bei negozi, uomini e donne pieni come fiaschi di anima immortale". - Ma a lui serviva quella tana buia, irresponsabile, che per qualche soldo mi porta nel Kansas City, mi offre un omicidio non pericoloso, un grande amore , un aereo che casca sopra tanti cattivi, di quelli che sono peggio di noi, perché perdono le guerre. […] Per duemila lire donne dal cognome amerindio e la parlata poco poco sul romanesco; morbidi giochi di gomiti ben oleati; uomini col fiore all’occhiello; snelli, seducenti gaglioffi pagati per uccidere; questa è vita, nonnetto". Perché "il nonno è imparzialmente goloso di teneri sguardi e di canaglie fulminate. Curiosamente se gli capita di vedere Roma, si sente all’estero, e gli viene una sordida nostalgia di Roma, che ritroverà, rancoroso, appena uscito dalla sala".

E’ nuovamente Desnos a spiegarci un simile fenomeno: “Quel che chiediamo al cinema è l'impossibile, l'imprevisto, il sogno, la sorpresa, il lirismo che cancellano le bassezze degli animi e li spediscono entusiasti sulle barricate e nelle avventure; quel che chiediamo al cinema sono le cose che l'amore e la vita ci rifiutano, il mistero, il miracolo.”

(Eppure, la signora Virginia Woolf deprecava l’uso invalso tra le servette londinesi in libera uscita; vale a dire stramazzare al freddo, e per ore!, tutte ordinatamente in fila dinanzi a un cinema. E per cosa, poi? Vedere, edulcorata e ripetuta al cubo, la vita fittizia che ogni giorno s’è costretti a vivere. Ah che magre consolazioni! Tertulliano, lui sì che avrebbe saputo come trattarle!)

   


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