Kafka
ha infilato il dito nella piaga. Ha lacerato quel velo di ritegno che
da sempre attutisce i pettegolezzi che girano intorno al terribile dio
degli abissi marini. Poseidone ricorre a ogni
espediente per somigliare al fratello maggiore. Lo imita in
tutto: si sposa o amoreggia con un numero illimitato di ragazze, si
trasforma nelle forme più bizzarre. Niente da fare: non è lui il dio
più importante; è condannato a stare un gradino più in basso di
Zeus, padre di tutti gli dei e degli uomini.
E
si tradisce, disvela una sorta di malcontento, una specie di
nostalgia… Non è vero, forse, che ogni onda finisce sempre per
tornare a terra?
Quando
assume forma d’animale si fa ariete, cavallo, toro. E quando, dopo
aver sposato Anfitrite, diventa re del mare, s’inabissa seguito da
un corteo di creature che gli ricordano, con la loro forma ibrida e
dimezzata, la terra, il regno che non potrà mai avere: ippocampi,
centauri marini, tritoni…
La
tradizione lo raffigura con una nera criniera e il tridente, selvaggio
e terrifico. Kafka nomina
il suo bronzeo torace, ma lo immagina un po’ bolso. Non lo
dice per discrezione, ma si vede che lo pensa.
Poseidone
amministra le acque. Un lavoro sedentario e noioso, che lo impegna
totalmente, perché le pratiche da sbrigare sono sempre tante, tra
correnti marine, tempeste e mari che non si fermano mai.Unica
distrazione sono brevi viaggi
da pendolare
nell’Olimpo, a render onori al fratello. Torna sempre contrariato e
si rimette a testa bassa sulle “bagnate carte”.
Come
tutti gli insoddisfatti, rimette nel futuro un po’ di pace. Aspetta
la fine del mondo. Allora sì avrà requie e potrà permettersi un “viaggetto
circolare”.