"Il Compagno segreto" - Lunario letterario. Numero 3, marzo 2003


 


4. L'equivoco dell'inganno

("Il silenzio delle sirene")

di Maria Milvia Morciano

“Il silenzio delle sirene” parte da uno degli episodi più seducenti dell’Odissea. Kafka s’inventa però una versione tutta sua, essenziale. 

Si sa: Ulisse  si fece legare all’albero maestro per ascoltare il  canto calamitante  delle sirene, senza tuttavia farsi trascinare da loro e così dimenticare la patria, la sua famiglia, se stesso. Aveva turato le orecchie dei compagni con della cera, perché non sentissero nulla, neppure la sua voce implorante di scioglierlo e lasciarlo in balìa di quelle  creature.  

Kafka invece la  racconta diversamente: anche Ulisse si riempie le orecchie di cera. Una beffa: le corde che lo stringono all’albero della nave devono alimentare  il suo alibi. Così sfila davanti a quelle  incantatrici,  impassibile e vittorioso. Loro stanno  cantando  invano, lui crede,  perché  non sanno che non può sentire.

Ma le sirene tacciono.

Non si sa per quale motivo; forse un uomo come Ulisse si può sconfiggere solo con il silenzio, oppure si fermano rapite dal suo sguardo luminoso. Resta il fatto che “arma ancora più temibile del canto è il silenzio delle sirene”, perché è meglio perdersi avendo conosciuto la bellezza di quella melodia ammaliante, piuttosto che salvarsi  senza averla mai ascoltata. L’eterno conflitto dell’uomo è accedere alla conoscenza in cambio di un avvitamento luciferino, un tonfo  nell’inferno della consapevolezza.  

Forse lui lo sa bene, forse Ulisse si accorge di questo  inganno reciproco, di questo valzer degli equivoci che renderebbero inutili  cera e catene. Ma è la prova che il Fato non può raggiungere il suo cuore, che lui ha il potere di sottrarsi a ogni iniziazione. Al  rito che tutti gli altri  uomini cercano nell’illusione di respingere la morte, di accedere ad altre dimensioni senza pagare pedaggio. Un’illusione che lui, cinico anche verso  se stesso,   non ammette.