"Il Compagno segreto" - Lunario letterario. Numero 3, marzo 2003


 


3. Il sarto della sorte

("Nella colonia penale")

di Maria Milvia Morciano

Perché mai un uomo dovrebbe consacrare ingegno e perizia al servizio di una macchina, una macchina di morte? 

L’ufficiale protagonista di “Nella colonia penale” non ce lo spiega. Il dispositivo è perfetto, a parte un sordo  cigolio,  realizza giustizia e regala certezza, o  per lo meno così lui crede, innamorato del giocattolo ereditato dal suo comandante. Si preoccupa che tutto sia perfettamente oleato, che non ci siano intoppi, che scorra liscio, che la rappresentazione abbia luogo. Ne parla con entusiasmo, come fosse una meravigliosa opera d’arte, un capolavoro di bellezza.

Al di là delle metafore che hanno intravisto gli esegeti kafkiani, la storia, quella vera, ci racconta di altri mille architetti, mille montatori di ingranaggi mortiferi. Nessuno di loro saprebbe risponderci veramente, al di là di una logica ma irreale  retorica sulla giustizia. 

La nostra è perciò una domanda destinata a non ricevere  risposta, anche se ci volgiamo al passato, alla ricerca dell’esempio primigenio.  

Prendiamo Procuste-Damaste, ad esempio, il “tenditore-costrittore”. Il fabbro  infernale che sbarrava la via per Atene ai viandanti, che li riduceva  a misura di un letto, sempre troppo lungo o troppo corto,  con l’amputazione delle estremità dei  più alti, o la trazione delle membra dei più bassi. Nessuna fonte ci  spiega il motivo del perché lo facesse.

Sappiamo solo che ciascuno di questi artisti crudeli, sarti esperti e ricamatori di carni umane,  finì vittima della propria  macchina ingegnosa. Arriva sempre, prima o poi,  un Teseo liberatore.