Bucefalo
era un cavallo nero e
fiero, non si faceva montare da nessuno ma fu domato da
Alessandro Magno, vinto
dalla sua abilità di cavaliere e dall’aura di predestinato. In quel
giorno fatale, che gli segnò la vita e la sua appartenenza, complice
fu la luce di un sole
abbagliante, che gli
nascose ogni via di fuga, ma gli mostrò la strada del futuro;
lontana, oltre le porte dell’India,
tra i clamori
delle battaglie, gli onori
e le vittorie.
Il
nuovo avvocato si chiama Bucefalo e conserva alcuni tratti equini, percettibili, ad esempio, nel modo di muovere
le gambe quando sale le scale, come al ritmo metallico degli zoccoli
al trotto.
Forse
anche l’avvocato somiglia all’etimologia greca del suo nome: una
testa bovina, larga e massiccia. Non lo sappiamo.
Il
tempo è trascorso. Non esistono più paesi sconosciuti da
conquistare. L’India è diventata vicina e
quindi, in un certo senso, non esiste più; altre strade hanno
perso la loro traccia. Non c’è
alcun condottiero divino, ci sono tanti agitatori di spade
inutili.
Così
il cavallo si traveste da avvocato, rinasce nei panni di un uomo
tranquillo, tutto preso
dalle sue carte, solo, nel silenzio, alla
luce di una lampada da tavolo.