Il
riferimento alla Cina non è una stravaganza di Benjamin: Kafka amava
ad esempio una poesia di Yan-Tse-Tsai (1716-97), che trascrisse in una
delle quattro lettere che scrisse a Felice il 24 novembre del 1912,
raccomandandole di lasciarla scorrere senza commento:
A notte fonda
Nella
notte fredda, curvo sul libro,
ho
dimenticato l’ora di andare a letto.
I
profumi della mia coperta trapunta d’oro
Sono
svaniti, il caminetto è spento.
La
mia bella amica che fin qui a stento
Dominò
la colera, mi strappa il lume
E
mi chiede: lo sai che ora è?
Kafka
amò molto l’antologia di poesia cinese da cui prese questa lirica.
Otto anni dopo, in una lettera a Milena, ne citava un’altra presa da
un libro di leggende, Libri di fantasmi, che finisce così:
“Ho passato la vita a difendermi dal desiderio di mettervi fine”.
Borges ha scritto belle pagine su cosa possa voler dire essere
“precursori di Kafka” (Altre inquisizioni).
La
Cina, impero sconfinato dall’autorità pervasiva e disarticolata,
dal potere che dal centro via via si sfrangia fino a essere casuale e
incompibile, la troviamo in almeno un racconto: Durante
la costruzione della muraglia cinese,
ma anche
Un
messaggio imperiale
fa pensare alla vasta maestà cinese. I racconti sono entrambi del
1917