Per
chi voglia leggere su Kafka in poche pagine tanto, uno dei saggi è
quello di Walter Benjamin, ora in Angelus Novus.
A
un certo punto si legge una citazione di un libro di Franz Rosenzweig,
Astro della redenzione, la cui descrizione dell’“uomo
interiore” cinese fa pensare a Benjamin a Karl Rossmann, il giovane
protagonista del Disperso (il romanzo che Max Brod intitolò America):
Karl è trasparente, puro, “addirittura senza carattere; il concetto
del saggio, com’è classicamente incarnato in Confucio, elimina ogni
possibile particolarità del carattere; egli è l’uomo veramente
privo di carattere, cioè mediocre… Ciò che distingue il cinese non
è il carattere, ma tutt’altra cosa, cioè un’elementare purità
di sentimenti”.
Come
l’uomo di Confucio, Karl dunque non ha una “psicologia”…
Per
Kundera, che di Kafka è un lettore strepitoso, è proprio questa
psicologia pura e semplice come acqua “la” rivoluzione di Kafka,
rivoluzione che ci proietta in un universo “postproustiano”:
“Per
Proust, l’universo interiore dell’uomo costituisce un miracolo, un infinito che era motivo di continuo stupore. Ma
non è questo che stupisce Kafka. Egli non si chiede quali siano le
motivazioni interne che determinano il comportamento dell’uomo. La
sua domanda è radicalmente diversa: quali possibilità ha ancora
l’uomo in un mondo in cui le determinazioni esterne sono diventate
così schiaccianti che i moventi interni non hanno più nessun peso?
Che cosa sarebbe cambiato, infatti, nel destino e nel comportamento di
K., se egli avesse avuto delle pulsioni omosessuali o una dolorosa
storia d’amore alle spalle? Niente.”
(M.
KUNDERA, L’arte del romanzo).