E’
un racconto del 1917.
Talmente breve che lo riportiamo tutto:
“Nel
corso degli anni, durante le ore della sera e della notte, Sancho
Panza, che però non se ne è mai vantato, procurò al suo diavolo,
cui diede in seguito il nome di Don Chisciotte, una quantità di
romanzi di cavalleria e di brigantaggio e riuscì ad allontanarlo da sé
in maniera che questi, privo di controllo, compì le sue matte gesta,
le quali però, in mancanza d’ogni oggetto prestabilito – che
avrebbe dovuto essere appunto Sancho Panza -, non fecero del male a
nessuno. Da uomo libero Rancho, imperturbabile e forse animato da un
certo senso di responsabilità, seguì Don Chisciotte nelle sue
scorribande e ne ricavò, sino alla sua fine, un grande e utile
divertimento.”
Jung
avrebbe trovato molto saggio questo rapporto di Sancho col suo
diavolo. - Tre anni dopo, in una delle prime lettere a Milena (infatti
si danno ancora del Lei), si legge un pensiero, sempre sulla faccenda
dei propri “diavoli”, che assomiglia a questo Sancho Panza sagace
prudente:
“L’uomo
torturato dai suoi diavoli si vendica, appunto, insensatamente contro
il prossimo. In tali momenti lei avrebbe voluto compiere una completa
redenzione, e se non vi è riuscita dice di essere inutile. Chi può
volere una cosa talmente sacrilega? Nessuno vi è mai riuscito,
neanche, per esempio, Gesù. Egli poteva dire soltanto: “Seguimi”
e poi quella grande cosa (che purtroppo cito erroneamente): agisci
secondo la mia parola e vedrai che non è la parola di un uomo, ma la
aprola di Dio. E i dèmoni li scacciava soltanto dagli uomini che lo
seguivano. E nemmeno ciò a lungo andare perché, se si staccavano da
lui, anch’egli perdeva efficacia e “utilità”. E’ vero che –
questa è l’unica cosa che Le concedo – anche lui era soggetto
alla tentazione.”