"Il Compagno segreto" - Lunario letterario. Numero 2, gennaio 2003


 

"L'Amore" di Stendhal:

 

5. "Ego" ricordo

 

 

 

Tenere un diario, scrivere delle memorie: il “futile” Stendhal era troppo profondo per accontentarsi di scrivere opere che costruissero il monumento di se stesso. Nel suo caso, così avvincente, la scrittura di sé trasforma le pagine bianche nella selva infinita in cui si perde e si ritrova l’Angelica di Ariosto: si perde in se stesso e nei suoi ricordi: nessun “tempo ritrovato” a consolarlo, alla fine, dell’aver errato nella vita con una secchia sfondata per memoria. Il ricordare è un’avventura incerta e, come nel caso di “De l’Amour” pericolosa: più che a Ulisse che ritrova la sua Itaca, assomiglia alle esplorazioni di Colombo, che cercando una cosa ne trovò un’altra:

 

“Mentre scrivo la mia vita nel 1835, faccio un mucchio di scoperte; scoperte di due specie: prima di tutto sono ampi stralci di affreschi su una parete, che, da lungo tempo dimenticati, affiorano d’un tratto, e accanto a questi pezzi ben conservati, ci sono vasti spazi come ho già detto parecchie volte dove non si vede che il mattone. L’arricciatura su cui c’era l’affresco è caduta, e questo è perduto per sempre. accanto alle parti conservate manca la data e a me tocca oggi nel 1835 andarne a caccia. Per fortuna poco importa un anacronismo, una confusione di uno o due anni.” (Ricordi di egotismo)

 

Siamo a un passo da una conclusione più sconcertante: “il ricordo è soltanto un romanzo inventato per la circostanza”. E solo un altro passo dal suo capovolgimento in questa convinzione di Gérard de Nerval, che, come nel gioco dell’oca, rimanda tutti al punto di partenza: “inventare è in fondo ricordarsi”.

 

 

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