Denis
de Rougemont, nel suo celebre e discusso saggio “L’amore in
Occidente”, dedica un capitolo al teorema amoroso di Stendhal.
Il “De l’Amour” sarebbe una “giustificazione” al bisogno
di passione; un bisogno condannato dalla ragione e dallo scetticismo
del mondo. Ortega, per primo, osserva
sulla cristallizzazione “che questa celebre teoria finisce per
fare dell’amore appassionato un semplice errore. […] Il caso di
Stendhal è indubbio: si tratta di un uomo che non amava realmente;
che, soprattutto, non fu realmente amato” (“Über die
Liebe”). E Rougemont continua: “Tristano amava, Don
Giovanni era amato; ma colui che del primo ha solo la nostalgia e
del secondo l’incostanza si vede a definire l’amore come una
malattia dello spirito.[…] la sua descrizione è mirabile per
vivacità, esattezza, talvolta profondità; ma è totalmente
pessimistica, poiché si tratta appunto d’un errore”.
L’amore
è quindi per Stendhal un
errore di cui si rammarica e una malattia che lo rende felice. Per
questo motivo rovescia le leggi naturali;
è il dolore il fulcro della passione amorosa. Scrive sul “de
l’amour”: “Poche sono, nella vita, le pene morali che non
ci vengan rese care dall’emozione che eccitano”.
Tuttavia, la questione è analizzata, ma non spiegata, quindi non
risolta. Conclude Rougemont:
“…la
verità è che Stendhal è la vittima d’un fenomeno spirituale che
le sue credenze materialistiche
non sono più in grado di giustificare. Vittima felice, del resto, e
questo basta a impedirgli
di spinger oltre la sua inchiesta. Cos’è infine, questo libro che
ci lascia? La testimonianza di un’inquietudine provata
dall’intelletto lucido dinnanzi al mito: non ch’egli davvero
desideri di liberarsene, ma ne ha perduto la chiave.