"Il Compagno segreto" - Lunario letterario. Numero 11  settembre 2005

 

 

Degas Danza Disegno di Paul Valéry


 

 

10.  Amare cani

 

 

 

 


 

“Quando do il mio amore e ricevo solo odio,

è come se mia madre mi schiaffeggiasse.

Non lo tollero, lei capisce?”

(M. Dietrich, in Paura in palcoscenico)

 

Paura in palcoscenico (Stage fright) è del 1949.

La Dietrich fa la parte di una diva del music-hall di Londra: cinica, vanesia, imperturbabile, forse furbissima mandante. Per gran parte del film, per un flashback scandalosamente ingannevole (e di cui molto si parlò) può essere addirittura creduta l’assassina del marito: lì appare, concitata e confessa, alla porta di casa dell’amante, con una grande macchia di sangue che si spalanca dall’inguine in giù sul meraviglioso vestito bianco plissettato.

 

Sembra una variazione in giallo di Eva contro Eva, capolavoro di Mankiewicz, che la Fox stava già girando e che uscì l’anno seguente: anche qui c’è un’aspirante attrice, studentessa della Royal Academy Dramatics Arts (Jeane Wyman) che si fa assumere come cameriera da una diva, interpretando “nella vita la sua prima parte, per condurre un’inchiesta poliziesca…” (F. Truffaut – A. Hitchcock, Il cinema secondo Hitchcock).

La Wyman, innamorata e credulona, è convinta infatti che la Dietrich abbia ucciso il marito e che occorra giusto trovare qualche prova che la incastri. Più attraverso il non detto degli sguardi, nei disagi e nelle incertezze dei gesti la Wyman confessa una manchevolissima invidia nei confronti della Dietrich.

Il movente profondo dell’accanimento della ragazza verso la meravigliosa signora che la degna di pochi sguardi e una mancia, sarà quello? – Hitchcock nell’intervista a Truffaut aggiunge gossips sulla ferita quando racconta:

 “Ho avuto molte difficoltà con Jane. Nel suo travestimento come cameriera era necessario che imbruttisse, perché dopo tutto, copiava la cameriera poco affascinante che sostituiva. Ogni volta che andava ai rushes [le riprese giornaliere] si paragonava a Marlene Dietrich e si metteva a piangere. Non poteva rassegnarsi a diventare un personaggio e la Dietrich era veramente bella.”

(F. Truffaut – A. Hitchcock, Ib.)

Sempre nell’intervista a Truffaut, Hitchcock parla male del film, e Truffaut concorda (“non mi sembra che aggiunga nulla alla sua gloria; è veramente un piccolo film poliziesco inglese nella tradizione di Agata Christie…”). – E invece per mille cose è una chicca: Truffaut preferisce le prime bobine, Hitchcock la festa all’aperto a metà –dove può riprendere pioggia e ombrelli meravigliosamente. Ma anche la fine, tutta girata in teatro, con giochi di luce molto sternberghiani sui volti e gli occhi dei protagonisti sono ammirevolissimi.

E’ a questo punto che MD ha la sua scena: ha appena saputo che un suo dialogo molto compromettente è stato registrato dalla polizia. È sola con un poliziotto (B. Berkeley) che deve sorvegliarla.

Marlene: - Sicché avete sentito tutto.

Poliziotto: - Sì.

Marlene:  - Ed è tutto registrato…

Poliziotto: - …e trascritto in stenografia.

Marlene: -  Ma che bravi… Si mette male per me, vero? Sono quella che voi chiamate un’indiziata, suppongo. (Prende dlla borsa una sigaretta. Il poliziotto gliel’accende) Grazie. Non è una cosa da niente…. Lei come si chiama?

Poliziotto: - Mellish.

Marlene: - Le piacciono i cani, Mellish?

Poliziotto: - Sì, moltissimo.

Marlene: - Ma non tutti, credo. Se un cane non ti ama, tu non lo ami. Non è così?

Poliziotto: - Penso di sì.

Marlene:  - Io ne avevo uno. Mi odiava. Alla fine l’ho dovuto fare uccidere. Quando do il mio amore e ricevo solo odio, è come se mia madre mi schiaffeggiasse. Non lo tollero, lei capisce?

Poliziotto: - A volte anche gli uomini si comportano così.

Marlene:  - (Sul suo solo primissimo piano, il primo del film, poco prima di quelli dell’assassino e della sua ultima possibile vittima) Sì. E il loro odio è anche più forte.

La sceneggiatura è di Whitfield Cook e Alma Reville: da un romanzo di Selwyn Jepson.

 


 

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