“Lubitsch
non era quello che uno scrittore definirebbe scrittore, e nemmeno
perdeva tempo a cercare di diventarlo. Dubito che abbia mai
cercato di ideare autonomamente una storia, un film, o anche una
singola scena. Su tutto se stesso non nutriva né vanità né
illusioni; era abbastanza scaltro da tenersi buoni gli scrittori,
e accoglieva a braccia aperte i migliori disponibili, spronandoli
a superare se stessi e nello stesso tempo collaborando con loro a
ogni livello, anche se non saprei esattamente dire come e in che
misura. So solo che valutava una scena, un film o
un'interpretazione con l'occhio del genio. Un dono simile è molto
più raro del semplice talento, che dilaga fra i mediocri.”
(S. Raphaelson, L'ultimo
tocco di Lubitsch, Adelphi 1993)