“La Garbo appartiene ancora a quel
momento del cinema in cui la sola cattura del viso umano provocava
nelle folle il massimo turbamento, in cui ci si perdeva
letteralmente in un’immagine
umana come in un filtro, in cui il viso costituiva una specie di
stato assoluto della carne che non si poteva raggiungere né
abbandonare. Alcuni anni prima, il viso di
Rodolfo Valentino
provocava dei suicidi; quello della Garbo partecipa ancora del
medesimo regno di amore cortese in cui la carne sviluppa mistici
sentimenti di perdizione.
(...)
Il suo appellativo di
Divina
mirava indubbiamente a rendere, più che uno stato superlativo
della bellezza, l’essenza
della sua persona corporea, scesa da un cielo dove le cose sono
formate e finite nella massima chiarezza. Lei stessa lo sapeva:
quante attrici hanno accettato di lasciar vedere alla folla
l’inquietante maturare della loro bellezza. Lei no: bisognava che
l’essenza non si degradasse, che il suo viso non venisse mai ad
avere una realtà diversa da quella della sua perfezione
intellettuale più ancora che plastica. L’Essenza si è a poco a
poco oscurata, progressivamente velata di occhiali, di grandi
cappelli e di esilii; ma non si è mai alterata.
(...)
Il viso della Garbo rappresenta quel momento
fragile in cui il cinema sta per estrarre una bellezza
esistenziale da una bellezza essenziale, l’archetipo
sta per inflettersi verso il fascino dei visi corruttibili, la
chiarezza delle essenze carnali sta per far posto a una lirica
della donna.
Come moneto di transizione, il viso
della Garbo concilia due età iconografiche, assicura il passaggio
dallo spavento al fascino. Oggi, è noto, siamo all’altro polo di
questa evoluzione: il viso di Audrey
Hepburn, per esempio, è individualizzato non solo dalla
sua tematica particolare (donna-bambina, donna-gatta) ma anche
dalla sua persona, da una specificazione quasi unica del viso, che
non ha più nulla di essenziale ma è costituito da una complessità
infinita delle funzioni morfologiche. Come linguaggio, la
singolarità della Garbo era di ordine concettuale, quella di
Audrey Hepburn è di ordine sostanziale. Il viso della Garbo è
idea, quello della Hepburn è Evento.”
(R. Barthes, Miti d'oggi,
Einuadi 1974).