"Il Compagno segreto" - Lunario letterario. Numero 11, settembre 2005                                       

 

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16. Pierre Louÿs

 

 

 


 

La somiglianza tra la Carmen celeberrima di Merimée e poi di Bizet e la Conchita di La Femme et le Pantin (1898) di Pierre Louÿs è già tutta raccontata in una nota de La carne, la morte e il diavolo di Mario Praz, lì dove scrive: “Don Mateo fa la conoscenza di Concha in circostanze simili a quelle della Carmen (una rissa di donne); entrambe le donne sono sigaraie; entrambe si prostituiscono in atto o in apparenza agli inglesi”. Per il resto, come Carmen è tragica e predestinata, Concha è sempre un passo oltre la scia di disastri che semina nei cuori dei mille e tre maschi che via via seduce. – Praz nota in Conchita Perez anche l’eco della Cécily dei Mystères de Paris di Sue, creola diabolica capace di sprigionare “une omnipotence magique sur les hommes de sensualité brutale”, avendo in ogni caso di suo “une corruption digne des reines courtisanes de l’ancienne Rome”…

L’inventore di Conchita era uno amico squisitissimo di Gide, Valéry, Wilde e Debussy. Su modello dell'Antologia Palatina aveva scritto poesie parnasiane e lascive che interessarono molto D’Annunzio. Nato libertino, per non dire pornografo, finì bibliofilo pensoso ed erudito: pensò infatti sempre all’amore, ma secondo un itinerario ad ascendere (?) dalla carne allo spirito che avrebbe entusiasmato il Bembo (se non si vuol leggere troppo, lo si veda riassunto nel meraviglioso Libro del Cortigiano di Castiglione).

Già autore di Afrodite (1896), il “ più popolare e il più riuscito dei romanzi parnassiani” (G. G. Severi, Bompiani, 1959), operina più volte sequestrata per pagine qua e là troppo licenziose, e forse soprattutto di Les aventures du Roi Pausole (Paul Valéry lo definì “apologia della carne e dei piaceri”), con La Femme et le Pantin, Louÿs inventa il personaggio irresistibile ed esilarante di Conchita Perez, puttana paradossale che tutto promette e nulla dà, almeno al distrutto don Mateo. – A lui la vendetta degli sconfitti: il racconto a un nuovo pretendente del suo inseguimento vano, che dunque ha la dinamica inesorabile dei cartoni di gatto Silvestro che concupisce Titti (e in diverse inquadrature di Capriccio Spagnolo,  la Dietrich, mai così capricciosa, potrebbe anche assomigliargli).

La storia piacque al cinema enormemente: la “trionfante incoerenza” di Conchita, l’ambientazione nei giorni del carnevale,  la “visione burattinesca del cuore umano che sembra spezzare i limiti e le maniere del romanzo decadente per sollevarsi a una reale universalità, e che costituisce uno dei momenti più acuti della letteratura amorosa nell'ultimo Ottocento” (G. G. Severi, Op. cit.) entusiasmò molti: almeno quattro film per Conchita, tra cui ben due capolavori, Capriccio spagnolo (1935) di von Sternberg e Quell’oscuro oggetto del desiderio di Bunuel (1977). E due volti immortali: con la Dietrich, la Bardot di Femmina (J. Duvivier,1957).


 

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