La somiglianza tra la
Carmen celeberrima di
Merimée e poi di
Bizet e la
Conchita di
La Femme et le Pantin (1898)
di Pierre Louÿs è già
tutta raccontata in una nota de La
carne, la morte e il diavolo di
Mario Praz, lì dove scrive:
“Don Mateo fa la conoscenza di Concha in circostanze simili a
quelle della Carmen (una rissa di donne); entrambe le
donne sono sigaraie; entrambe si prostituiscono in atto o in
apparenza agli inglesi”. Per il resto, come Carmen è tragica e
predestinata, Concha è sempre un passo oltre la scia di disastri
che semina nei cuori dei mille e tre maschi che via via seduce.
– Praz nota in Conchita Perez anche l’eco della
Cécily dei
Mystères de Paris di
Sue, creola diabolica capace di
sprigionare “une omnipotence magique sur les hommes de
sensualité brutale”, avendo in ogni caso di suo “une corruption
digne des reines courtisanes de l’ancienne Rome”…
L’inventore di Conchita era
uno amico
squisitissimo di
Gide,
Valéry, Wilde
e Debussy. Su modello dell'Antologia
Palatina aveva scritto poesie parnasiane e
lascive che interessarono molto
D’Annunzio. Nato libertino, per non dire pornografo,
finì bibliofilo pensoso ed erudito: pensò infatti sempre
all’amore, ma secondo un itinerario ad ascendere (?) dalla carne
allo spirito che avrebbe entusiasmato il
Bembo (se non si vuol leggere troppo, lo si veda
riassunto nel meraviglioso Libro del
Cortigiano di
Castiglione).
Già
autore di Afrodite (1896),
il “ più popolare e il più riuscito dei romanzi parnassiani”
(G. G. Severi, Bompiani, 1959),
operina più volte sequestrata per pagine qua e là troppo
licenziose, e forse soprattutto di
Les aventures du Roi Pausole
(Paul Valéry
lo definì “apologia della carne e dei piaceri”), con
La Femme et le Pantin,
Louÿs
inventa il personaggio irresistibile ed esilarante di
Conchita Perez, puttana paradossale
che tutto promette e nulla dà, almeno al distrutto don Mateo. –
A lui la vendetta degli sconfitti: il racconto a un nuovo
pretendente del suo inseguimento vano, che dunque ha la dinamica
inesorabile dei cartoni di gatto Silvestro che concupisce Titti
(e in diverse inquadrature di
Capriccio Spagnolo,
la Dietrich,
mai così capricciosa, potrebbe anche assomigliargli).
La storia piacque
al cinema enormemente: la “trionfante incoerenza” di Conchita,
l’ambientazione nei giorni del carnevale, la “visione
burattinesca del cuore umano che sembra spezzare i limiti e le
maniere del romanzo decadente per sollevarsi a una reale
universalità, e che costituisce uno dei momenti più acuti della
letteratura amorosa nell'ultimo Ottocento”
(G.
G. Severi, Op. cit.)
entusiasmò molti: almeno quattro film per Conchita, tra cui ben
due capolavori,
Capriccio spagnolo
(1935)
di
von Sternberg
e
Quell’oscuro oggetto
del desiderio
di
Bunuel (1977).
E due volti immortali: con la
Dietrich,
la
Bardot
di
Femmina (J.
Duvivier,1957).