Vivaci varianti di Lo
Sulla faccenda di cinema e scrittori, molto divertente la storia
di
Nabokov
che riscrive
Lolita per
Kubrick
(c’è tutto nel
Bompiani,
2001,
con la sceneggiatura, che poi è servita a
Ronconi
per uno spettacolo recente).
Nabokov
non si
fidava del cinema, e
Kubrick
a quel tempo non era mica il nome mitico che è oggi. – Ma, anche
se lo fosse stato già, Nabokov aveva una certa idea di sé che non
si sarebbe certo fatta ferire dalla volgare aura del Genio
Cinematografico. Così, alla proposta di fare film dell’inopinatissimo
romanzo, rispose subito
“No”:
rimettere le mani e rifare
brogliaccio della felicissima
“Lo” gli provocava “soltanto
disgusto”.
Ma
“l’onorario era ragguardevole”.
1959:
tra
scarse farfalle americane e vaghe meditazioni su come (nel caso il
film si fosse fatto) gabbare il
Codice Hays,
nonché lunghi soggiorni in Europa (Parigi, Londra, Roma, Taormina,
Genova e Lugano…) lo stesso Nabokov rimugina Lolita.
Finché, a offerta ormai respinta, ebbe “un'illuminazioncella
notturna, di origine diabolica forse, ma inusitatamente incisiva
nella sua vivida perentorietà, e percepii chiaramente
un'allettante via di affrontare una versione cinematografica di
Lolita”…
Arriviamo così
al febbraio del
1960.
La cosa
coincide – quante volte accadrà nella vita? – con un telegramma da
Hollywood che gli ripropone cordialmente di scrivere il film. Così
parte dalla Costa Azzurra e – treno, nave, treno – in una decina
di giorni arriva a Los Angeles. Lì discute con Kubrick su come
“cinematizzare il film”.
Una
prima illusione di comando: “Lui
accettò tutti i miei punti d'importanza vitale,
io
accettai, dei suoi,
i meno significativi.”
Ed ecco
il clou di Nabokov il sulfureo:
“Di natura,
non sono autore drammatico; e neanche uno sceneggiatore
praticone; ma se mi fossi dato al palcoscenico o allo schermo
tanto quanto mi sono dato al genere di scrittura che sconta il
suo trionfale ergastolo dentro la copertina di un libro, avrei
propugnato e messo in opera un regime di totale tirannia,
dirigendo io stesso il film o la commedia, scegliendo
scenografia e costumi, terrorizzando gli attori, confondendomi
tra loro in ruoli secondari di ospite o di spettro, suggerendo
loro la parte: in una parola, permeando l'intero spettacolo del
volere e dell'arte di un individuo unico - poiché non c'è niente
al mondo che mi sia più odioso dell'attività di gruppo, quel
bagno collettivo dove villosi e viscidi fraternizzano, in un
moltiplicarsi di mediocrità. Tutto ciò che potevo permettermi,
nel caso, era di stabilire il primato delle parole sull'azione,
limitando così al massimo le interferenze della committenza e
del cast.”
…Ma
questa idea, del “primato delle parole sull’azione”, è proprio
l’errore del pivello, che crede che il cinema scriva con le
parole, mentre il cinema scrive con
Marilyn
Monroe.
Risultato finale:
una sceneggiatura di
quattrocento pagine, buona per un film da
von Stronheim: e cioè di sette ore e più, e cioè
impraticabile. Mille cose dunque da tagliare. Ma quello che a
questo punto conta, è che Nabokov, a riscrivere Lolita, alla fine
si è divertito fino all’entusiasmo.
Il che
non toglie il fatto che Kubrick abbia poi fatto tutto di testa
sua.
1962: Nabokov vede in anteprima il film:
1:
“Qualche giorno prima, a una proiezione privata, avevo
scoperto che Kubrick era un grande regista, che Lolita era un film
di prima qualità con attori magnifici, e che della mia
sceneggiatura erano stati usati solo brandelli sparsi. Le
modifiche, il travisamento delle mie trovate migliori, l'omissione
di intere scene, l'aggiunta di altre, e ogni genere di cambiamenti
ulteriori, non erano forse sufficienti a far cancellare il mio
nome dai titoli di testa ma di certo rendevano il film tanto
infedele alla sceneggiatura originale quanto lo sono certe
traduzioni di Rimbaud e Pasternak fatte da un poeta americano.”
2:
“La mia prima reazione al film fu un misto di
irritazione, rammarico, e restio godimento. Più d'un'intrusione
(quale la macabra sequenza del ping-pong o l'estatica sorsata di
scotch nella vasca da bagno) mi parve azzeccata e spiritosa.
Penose, però, altre (quali il crollo della brandina pieghevole o i
fronzoli dell'arzigogolata camicia da notte della signorina Lyon).
Le sequenze, per lo più, non erano certo migliori di quelle da me
pensate con tanta cura per Kubrick, e mi pentii amaramente del
tempo perso, pur ammirando la saldezza di Kubrick, nel sopportare
per sei mesi l'evoluzione e la somministrazione di un prodotto
inutile.”
3: “Ma mi sbagliavo. (…). Mi
dissi che dopotutto nulla era andato perso, che la mia
sceneggiatura restava intatta nella sua
custodia e che un giorno l'avrei potuta pubblicare: non come
meschina confutazione di un film dovizioso ma semplicemente come
vivace variante di un vecchio romanzo.”