"Il Compagno segreto" - Lunario letterario. Numero 11, settembre 2005                        


Ogni scrittore, come ogni persona, ha le sue stelle d’orientamento, e a sua volta è stella (danzante?) per altri.

Proviamo a segnalarne qualcuna

 

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15. Nabokov

 

 

 


                                                                                                                              

Vivaci varianti di Lo

 
Sulla faccenda di cinema e scrittori, molto divertente la storia di
Nabokov che riscrive Lolita per Kubrick (c’è tutto nel Bompiani, 2001, con la sceneggiatura, che poi è servita a Ronconi per uno spettacolo recente).

Nabokov non si fidava del cinema, e Kubrick a quel tempo non era mica il nome mitico che è oggi. – Ma, anche se lo fosse stato già, Nabokov aveva una certa idea di sé che non si sarebbe certo fatta ferire dalla volgare aura del Genio Cinematografico. Così, alla proposta di fare film dell’inopinatissimo romanzo, rispose subito “No”: rimettere le mani e rifare brogliaccio della felicissima “Lo” gli provocava “soltanto disgusto”.

Ma “l’onorario era ragguardevole”.

1959: tra scarse farfalle americane e vaghe meditazioni su come (nel caso il film si fosse fatto) gabbare il Codice Hays, nonché lunghi soggiorni in Europa (Parigi, Londra, Roma, Taormina, Genova e Lugano…) lo stesso Nabokov rimugina Lolita.

Finché, a offerta ormai respinta, ebbe “un'illuminazioncella notturna, di origine diabolica forse, ma inusitatamente incisiva nella sua vivida perentorietà, e percepii chiaramente un'allettante via di affrontare una versione cinematografica di Lolita”…

Arriviamo così al febbraio del 1960.

 

La cosa coincide – quante volte accadrà nella vita? – con un telegramma da Hollywood che gli ripropone cordialmente di scrivere il film. Così parte dalla Costa Azzurra e – treno, nave, treno – in una decina di giorni arriva a Los Angeles. Lì discute con Kubrick su come “cinematizzare il film”.

Una prima illusione di comando: “Lui accettò tutti i miei punti d'importanza vitale, io accettai, dei suoi, i meno significativi.”

Ed ecco il clou di Nabokov il sulfureo:

 

“Di natura, non sono autore drammatico; e neanche uno sceneggiatore praticone; ma se mi fossi dato al palcoscenico o allo schermo tanto quanto mi sono dato al genere di scrittura che sconta il suo trionfale ergastolo dentro la copertina di un libro, avrei propugnato e messo in opera un regime di totale tirannia, dirigendo io stesso il film o la commedia, scegliendo scenografia e costumi, terrorizzando gli attori, confondendomi tra loro in ruoli secondari di ospite o di spettro, suggerendo loro la parte: in una parola, permeando l'intero spettacolo del volere e dell'arte di un individuo unico - poiché non c'è niente al mondo che mi sia più odioso dell'attività di gruppo, quel bagno collettivo dove villosi e viscidi fraternizzano, in un moltiplicarsi di mediocrità. Tutto ciò che potevo permettermi, nel caso, era di stabilire il primato delle parole sull'azione, limitando così al massimo le interferenze della committenza e del cast.”

 

…Ma questa idea, del “primato delle parole sull’azione”, è proprio l’errore del pivello, che crede che il cinema scriva con le parole, mentre il cinema scrive con Marilyn Monroe. 
Risultato finale: una sceneggiatura di quattrocento pagine, buona per un film da von Stronheim: e cioè di sette ore e più, e cioè impraticabile. Mille cose dunque da tagliare. Ma quello che a questo punto conta, è che Nabokov, a riscrivere Lolita, alla fine si è divertito fino all’entusiasmo.

Il che non toglie il fatto che Kubrick abbia poi fatto tutto di testa sua.

1962: Nabokov vede in anteprima il film:

1: “Qualche giorno prima, a una proiezione privata, avevo scoperto che Kubrick era un grande regista, che Lolita era un film di prima qualità con attori magnifici, e che della mia sceneggiatura erano stati usati solo brandelli sparsi. Le modifiche, il travisamento delle mie trovate migliori, l'omissione di intere scene, l'aggiunta di altre, e ogni genere di cambiamenti ulteriori, non erano forse sufficienti a far cancellare il mio nome dai titoli di testa ma di certo rendevano il film tanto infedele alla sceneggiatura originale quanto lo sono certe traduzioni di Rimbaud e Pasternak fatte da un poeta americano.”

2: “La mia prima reazione al film fu un misto di irritazione, rammarico, e restio godimento. Più d'un'intrusione (quale la macabra sequenza del ping-pong o l'estatica sorsata di scotch nella vasca da bagno) mi parve azzeccata e spiritosa. Penose, però, altre (quali il crollo della brandina pieghevole o i fronzoli dell'arzigogolata camicia da notte della signorina Lyon). Le sequenze, per lo più, non erano certo migliori di quelle da me pensate con tanta cura per Kubrick, e mi pentii amaramente del tempo perso, pur ammirando la saldezza di Kubrick, nel sopportare per sei mesi l'evoluzione e la somministrazione di un prodotto inutile.”

3: “Ma mi sbagliavo. (…). Mi dissi che dopotutto nulla era andato perso, che la mia sceneggiatura restava intatta nella sua custodia e che un giorno l'avrei potuta pubblicare: non come meschina confutazione di un film dovizioso ma semplicemente come vivace variante di un vecchio romanzo.”

 


 

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