Tra le Lettere di
Hemingway (Mondatori) ce n’è solo una indirizzata a Marlene (La
Finca Vigia, 26 settembre 1949), dove le promette la copia
carbone di un manoscritto a patto che non la passi “a quel tale
Remarque”. - Preveggenza del compagno segreto: le
altre lettere di Hemingway a Marlene, una trentina, ora al JFK
Museum di Boston, saranno pubblicate giusto nel 2006.
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“A volte ti dimentico, come dimentico i battiti del tuo cuore.”
(E.
Hemingway a M. Dietrich)
Nel
1932, sull’Île de France
che sta navigando dall’Europa all’America, Hemingway e la
Dietrich si conobbero:
“Una sera Marlene Dietrich
fece una clamorosa entrata nel salone da pranzo. Contando dodici
persone già sedute a tavola, si ritirò superstiziosamente, ma
Hemingway, pieno di fascino e veloce come il lampo, le si parò
davanti, dicendo che sarebbe stato lieto di fare il
quattordicesimo. Da allora in poi, le sarebbe stato sempre amico
(…). Le diede consigli da zio, che lei accettò regolarmente; non
si burlava di lei come faceva con gli altri; le concesse
l’insolito privilegio di chiamarlo col suo nome di battesimo. Si
sarebbe indotti a pensare che avesse un po’ paura di lei”
(A. Burgess, Hemingway).
Marlene: “L’ho amato
immediatamente. Non ho mai smesso di amarlo. L’ho amato
platonicamente. Dico questo perché l’amore che Ernest Hemingway
e io sentivamo l’uno per l’altro è stato un amore eccezionale
nel mondo in cui viviamo: un amore puro, assoluto. Un amore non
attraversato da dubbi, un amore oltre l’orizzonte, oltre tomba,
anche se so per certo che ciò non esiste. Tuttavia i nostri
sentimenti amorosi durarono parecchi anni, anche quando non
restavano più speranze per nessuno, né desideri, né voti da
esaudire, quando Hemingway sentiva ormai soltanto una
disperazione profonda, la stessa che provavo io nel pensare a
lui. Era la mia Rocca di Gibilterra, adorava questo
soprannome” (M. Dietrich, Marlene D).
Hemingway è già famoso, ma
non è ancora il mito vivente, tra
Stendhal e machismo, che ha per sfondo safari e
corride. Proprio nel legame con la Dietrich emergeranno forze
più segrete: l’ambiguità di una natura incerta, che lo
accompagnerà tutta la vita, e che vedi soprattutto ne
Il giardino dell’Eden,
romanzo postumo in cui i protagonisti si scambiano fisionomie
caratteri e ruoli sessuali.
In Marlene, che chiama
“salsiccia” o “figlia”, Hemingway trova uno specchio complice,
ma più pratico e cosciente: uguale a lui, ma senza le sue
lacerazioni nascoste.
Anche Ernest amò sempre
Marlene: “è la migliore che sia mai salita sul ring”; “Se non
avesse che la voce, potrebbe spezzarti il cuore. Ma ha anche un
corpo stupendo e il volto di una bellezza senza tempo. Non fa
nessuna differenza se è lì per spezzarti il cuore o risanarlo.”
Le attribuiva anche un
giudizio infallibile sulla sua opera: una relazione rimasta
platonica, versione di entrambi, per puro caso.