“Arte anonima”
scrive
Calasso
del
cinema
(R. Calasso, La follia
che viene dalle Ninfe),
ma qualche nome essenziale, non necessario all’opera che non ne
richiede nessuno, ma a chi vuol saperne un po’ si può sempre
fare. - Marlene è disegnata da due occhi essenziali: la luce di
von Sternberg e i costumi di Travis Banton, geniale capo
costumista della Paramount: “Furono loro a creare la mia immagine
cinematografica; mi bastò scivolarvi dentro, d quella bambina
viziata che ero”
(M. Dietrich, Marlene D.).
Tutti i vestiti di
Marlene nei film Paramount sono di Banton. Come von Sternberg è un
maniaco dei dettagli. Tra tante meraviglie, da ricordare i mille
metri di piume di gallo in mille sfumature di nero per l’entrata
in scena – stupefacente - di
Marlene
in
Shanghai Express
(1932),
subito icona dell’Hollywood Camp; e la famosa tunica di
broccato con basca ondulata, che influenzò
Schiaparelli,
e anticipò il New Look in
Angelo
di
Lubitsch (1937).
Di Banton è anche il gorilla da
cui esce la Diva per cantare Hot Voodoo in
Venere Bionda.
Mentre
Adrian
alla Metro Goldwin Mayer vestiva
Joan Crawford,
Jean Harlow,
e soprattutto
Greta Garbo,
Banton oltre la Dietrich, vestiva à la burlesque
Mae West,
rendeva definitivamente impeccabile
Carole
Lombard,
chic e
parigina
Claudette Colbert,
quando non audacemente sexy, con il nude-look, mai prima
pensato, per la
Cleopatra
del
1934.
“Nel periodo del
bianco e nero, si cercava a volte di andare sul sicuro provando le
stoffe davanti alla macchina da presa prima ancora di confezionare
i costumi, perché il colore aveva, malgrado tutto, un’importanza
decisiva. Le tinte pastello sostituivano i bianchi mente con il
color tè si poteva dare l’impressione di bianco vivo.
Il nero (e il
velluto nero in particolare) era rigorosamente vietato. Josef von
Sterberg dovette fare appello a tutta la sua abilità per
fotografare gli abiti neri che io volevo assolutamente indossare”
(M. Dietrich, Marlene D.).