L'oggetto
supremo dell'arte è il fascino,
termine
che uso qui in tutta la sua forza.
(P.
Valéry, Scritti sull'Arte)
Se
esistesse un'assoluta armonia...
(G.
Leopardi, Zibaldone, 23 giugno 1821)
Se
lo dice uno che è passato tutta la vita per un intellettualista,
non resterà che convertirci: le poesie “più che alla mente, si rivolgono alla vita”
e, “più che stimolarci a comprendere, ci impongono
di divenire”
(Varietà). - Lo stato di
mutamento supremo a cui accedere è l’incantesimo,
“tanto distinto dallo stato ordinario quanto quello
generato dalla musica, mediante l’esclusione dei rumori e di ogni cosa
simile ai rumori” (Quaderni, vol. I).
All’opposto
di Kant (La
critica del giudizio), e di tutte le amabili civiltà del
Gusto e della Conversazione, la fascinazione del Bello non genera
blablà, non fa né cultura né galateo né buona educazione, casa mai
spalanca gli occhi e fa catatonico lo sguardo fulminato di provvido e
catastrofico stupore: niente, insomma, di veramente urbano... - L’arte
piuttosto cospira al disastro della socialità: “l'azione stessa del Bello su qualcuno consiste nel
renderlo muto” (La caccia magica);
“il bello implica l’effetto dell’indicibile, dell’indescrivibile,
dell’ineffabile. Il termine bello in sé non dice NULLA. (...)
Ora, quando si vuol suscitare tale effetto è necessario che il
linguaggio stesso sia impegnato a produrre quel che costringe al
silenzio, è necessario che esprima una assenza della parola (...)
«Impossibilità di esprimere» non vuol dire che mancano espressioni,
ma significa che ogni espressione è incapace di richiamare alla
presenza ciò che le ha dato vita” (Istanti).
Un
giorno, Socrate trova qualcosa sulla
spiaggia che ha una bella forma: forse una conchiglia, forse un osso
consumato dal mare: questo "frutto
di un tempo infinito” Socrate lo ammira "senza aspettare risposta”
(Eupalino). Il riconoscimento
del bello è sempre il conferimento di un “un attributo di indeterminatezza: dire che un oggetto
è bello, significa dargli valore di enigma” (La
caccia magica).
Molti
anni dopo, Heidegger scrisse a sua
volta: “cosa significa fare silenzio? Significa
forse non dire nulla e restare muti? Può far silenzio solo colui che ha
qualcosa da dire. Fa silenzio nella misura in cui manifesta nel suo
dire, e solo lì, ciò che non è detto” (M.
HEIDEGGER, La
poesia di Hölderlin).