"Il Compagno segreto" - Lunario letterario. Numero 10 maggio 2004

 

 


  Degas Danza Disegno di Paul Valéry

 

 

10.  In-finiti

 

 

 


Il non saper finire ti rende così grande

(Goethe)

 

Allez! Tout fuit! Ma présence est poureuse,

Le sainte impatience meurt aussi 

(P. Valéry, Le cimetière marine)

Come superare l’onta di nascere caotici, imprecisi e sempliciotti, tal quali, insomma, a tutti gli  altri? Tutta una vita sarà sufficiente per distinguersi e così trovarsi? - E basterà il romanzo di uno junghiano processo di individualizzazione, o addirittura la consolazioncella romantica che ogni vita è pur sempre e comunque unica e vera, o si cercherà, alla prova dei fatti, il segno tangibile - qualcosa che resta nel mondo, evidente e staccato da noi! - della nostra possibile differenza?

“Nei regni della creazione, che sono altresì i regni dell’orgoglio, la necessità di distinguersi è inseparabile dall'esistenza medesima” (Varietà): lì la vittima del male di non essere unico, si consuma a inventare ciò che lo separa dagli altri” (Ib.). - Diventare un insulare dell’isola IO”, asserragliarsi... in un’indefinibile isola interiore”, è il dono in realtà demoniaco di una qualche virtù segreta”: forza del resto ritrovabile in ogni  persona profonda” (Ib.)

Se questa è la strada, l’uomo che scrive per diventare se stesso - e cioè unico, e cioè solo - scrive nel deserto, seminando messaggi giusto per quelli come lui: per gli uomini che sono soli e che hanno la forza di sentirsi soli” (Quaderni, vol. I): vale a dire il contrario di quelli che scrivono e parlano senza tremare” (Monsieur Teste)

Altro che opere e capolavori, bibliografie e destini artistici compiuti: qui è in gioco l’io che crea se stesso, che è il Dio di se stesso! - Non posso riconoscermi in una figura finita. E l’io  sfugge continuamente dalla mia persona che tuttavia disegna o incide sfuggendola” (Quaderni, vol. I). I graffi e le incisioni - le parole -  rimaste sulla carta stanno all'io come le tracce di un sismografo alla deriva dei continenti: appena prove di quanto quel che scriviamo differisce da noi stessi e come quello che non scriviamo sia più importante” (Quaderni, vol. II).

Valéry in qualunque fare vede sempre appena un passo - forse del resto fatto a vuoto! - del proprio farsi: qualcosa che verrà fermato solo dalla morte. Solo lì il groviglio pulsante dell’io si riduce a quanto nell’esistere è stato solo fatto: come Socrate - sarà un sollievo? - diremo io nacqui parecchi e son morto uno” (Eupalino). - Fino a quel punto però, l’opera, nel processo di autocreazione dell’autore al cospetto di se stesso, sarà sempre qualcosa di instabile: come la Gioconda per Leonardo, sarà  il frammento di una sostanza mobile e vivente che è forse suscettibile di sviluppo e coltura” (La caccia magica).

E’ il labirinto, che conobbe Degas, dell'infinito sudare jucunde” (Quaderni, vol. I): l'autore reincontra sempre la sua opera, e ciò che sembrava fatto, alla fine di un certo tempo, si mostra ancora capace di suscitare il possibile - di irritare il desiderio...” (Quaderni, vol. I).

Valéry - amleticità operosa - è l’autore di superbie necessarie. Senza posa, senza fine: vi sono solo mezzi, mai “un fine in assoluto” (Quaderni, vol. II). Sono proprio i mezzi che fanno nobile il fine, mai il contrario. 

Ma in arte è vera solo l’affermazione di cui è vero anche il contrario (Oscar Wilde), e infatti - a mischiare appena un po’ i testi - qui si arriva al punto dello spartito che prevede un Da capo e una biforcazione: perché, proprio nel libro prescelto per questo numero, si legge che, liberata la mente da “percezioni senza futuro”, “bisogna avere una testa ben fatta per sfruttare le cose felici, dominare le trovate, e finire” (Degas Danza Disegno).


  torna a 

 

        torna su