Ogni
cosa del mondo è ignara, dormiente (sia Cartesio
che Pascal non direbbero
dell’intero universo: un solido nulla?), ed è pronta ad
accogliere “le forze (…) applicate alla materia, per renderla
adatta all’idea da imitare e all’uso previsto” (Eupalino);
così l’architetto impedisce che “i massi di marmo muoiano
sotterra componendovi impenetrabili notti” (ib.).
Almeno
qui lo schema, come si vede, è platonico: dall’idea alla
sua, più o meno entropica, imitazione nella materia. - Il
linguaggio però a queste chirurgie recalcitra: essendo nato per
altro, mercato& macello, non si presta, sgattaiola e si nega.
Nato utile, viziato e vizioso, esiste – micidiale efficacia
– per esigenze opposte e nemiche di quella poetica. Le parole per Valéry
– tutto l’opposto per esempio di Céline
- non cantano: sono calibani pratici, spicci, impenitenti,
smaccatamente significativi. - Essendo mezzi con scopi
sociali (persuadere, dichiarare, offendere, sedurre…), le parole devono
essere disposte a quelle mille imprecisioni formali che permettono però
che sia chiaro quanto serve il loro senso: tutt’un
ondeggiare tra perifrasi, parafrasi, sintesi, sinonimi,
definizioni...
Il marmo di Eupalino
e i colori di Degas, sono materia
ancora intatta, ancora pura perché ancora non umana, ancora senza storia.
Le parole invece sciamano ovunque già vecchie, già usate, già
sbagliate. - Valéry vorrebbe essere come Michelangelo
di fronte a un marmo nuovo, ma sa di essere come Duchamp:
uno che ridispone cose già fatte e usate per altri scopi mai
artistici: chissà se solo così restituibili a un qualche,
foss’anche fittizio, mistero.