Anche
la più quietamente bella delle opere d’arte cela – già
scendendo d’un
niente sotto la sua superficie levigata - un “dramma” (P.
Valéry, Varietà): i residuî della sua genesi, tra
muse da smagare e eureka da tradire, sono ancora operanti nell’opera
abbandonata alla sua finitezza infinibile: cesure, censure, iati,
salti… tutte tracce d’un omicidio – l’autore cancellato
dall’opera! – sempre imperfetto, segni del “dramma” qua e là
intuibili magari anche senza deliberate avventure alla Contini
nei cimiteri vivi delle varianti…): tutto questo, certo, per chi
avesse occhî per vedere e orecchie per sentire quella lotta mai
veramente risolta, e che nell’opera è sempre ancora lì.
Il
Degas di Valéry è sempre sul punto
di riportare nel magma del non-ancora-nato opere consegnate da anni, ma
nelle quali lui vede sempre solo “dramma” ancora malconciliato, il
disastro di un problema lasciato a metà…
Forse si può ridire tutto questo pensando anche a Leopardi:
in un mondo di cui l’uomo è tutt’altro che ‘centro’, questa
lotta e questo dramma sono provocati dal lavorio di un artefice
che strenuamente cerca di fare umane le refrattarie cose della Natura:
marmo, legno, pigmento, risonanza… - Sisifo (Quaderni,
vol. I) si strema per conformare materie ignoranti “ad uno
scopo estraneo” (Eupalino).
- Per la poesia però le cose stanno peggio che per qualunque altra
Musa, dovendo manipolare la peggiore tra le materie: le “parole”
(cfr., per es. La caccia magica),
le quali, com’è noto, ben più delle docili “idee” di Diderot,
sono “puttane” (Auden) non
d’un docile etereo iperuranio, ma da comizio e da mercato.