Nascondi
il tuo dio, nascondi il tuo dèmone.
(P.
Valéry, Monsieur Teste)
Tutto
il sublime, il bello, non è che velame,
passaggio,
pensatezza, belle e pesanti cortine
che
indicano il posto e lo nascondono.
(P.
Valéry, Quaderni, vol. I)
Confondere
romantico con ingenuo e sentimentale non dovrebbe essere più
concesso da un pezzo: già in Schiller,
del resto, quelle due parole facevano un’antitesi.
- Vedi per esempio Schumann: avrà
avuto pure la biografia perfettamente lacerata che pretendiamo da un
tempo wertheriano e sturm und drag; ma proprio lui fu sempre
certo che non andasse mai mostrato “alla gente il proprio cuore”,
giovando “di più un’impressione generica dell’opera
d’arte” (R.
SCHUMANN, La musica romantica).
Il
poeta di Valéry frequenta le
stesse province mentali, e la stessa convinzione che la volontà di
esprimersi - quest’euforia ingiustificabile dell’essere - debba
coincidere con una ferma necessità di elaborare per verba non
più che coltivati pudori, che nascondimenti ulteriori.
Posto
anche che si scriva sempre per obbedire a un movente psicologico
individuabile (chi non ne avrebbe?), il suo darsi per ritmi e
rime è un cercar di celarsi (sublimarsi direbbe il dottor Freud?)
sotto i veli impenetrabili della bellezza. - L’autore deve
nascondere i segni di sé come le tracce un omicida, in una bellezza
il più possibile compiuta - e cioè: il meno decifrabile possibile.
Non
esiste un’altra arte: l’opera perfetta lascia
sempre il suo delitto senza più assassino: sarà sempre il fiore
residuale di una censura altamente elaborata del proprio sé, tanto
più di quello più immediato e sentimentale. - Restando nella
metafora criminale: l’opera, è lei l’omicida, l’autore il
cadavere. L’opera perfetta quella che del cadavere stesso ha
cancellato ogni traccia.
Sii
sottile... crudele... o più sottile!... Menti...
Ma
sappi!...
(La
giovane Parca)